venerdì 30 aprile 2010

La Politica Non mi Interessa

DI MARCO CANESTRARI

IL DISINTERESSE PER LA POLITICA

Spesso sentiamo dire: "Non mi interessa la politica perché i politici sono tutti uguali e pensano prevalentemente ai loro interessi, tanto non cambierà mai niente, io preferisco occuparmi di altro". Vediamo in che maniera si favorisce questo modo di pensare e soprattutto chi ci guadagna da un atteggiamento di questo tipo su scala generale.

Per favorire questo atteggiamento la popolazione deve sentirsi esclusa dalle decisioni del paese, gli devono mancare gli strumenti necessari per farsi un idea critica e completa sui problemi e sulle soluzioni del paese e devono mancare anche gli strumenti per partecipare direttamente ai cambiamenti che vuole vedere. Devono mancare le informazioni critiche necessarie per valutare ogni singolo problema con una visione d'insieme. Le fonti d'informazione che arrivano a tutti, quelle che possono aggregare le idee e produrre un consenso ampiamente condiviso devono essere esclusivamente quelle dei media. Tutti conoscono la versione ufficiale dei media che produce un senso comune generalizzato, però nessuno può avere una visione d'insieme delle singole idee spontanee dei cittadini.

Tutto quello che la popolazione può fare, per legge, è scegliere l'immagine di una persona, un simbolo o un partito e delegare il potere a questa persona per un certo numero di anni. Il partito avrà anche la facoltà di creare alleanza, stringere accordi, sciogliersi in altri partiti. Noi dobbiamo aspettare sperando che qualcosa vada bene e fidarci. Se vediamo che non abbiamo la possibilità di arrivare a delle soluzioni definitive per il paese e questa facoltà di scelta non ci risolve i problemi mutevoli che abbiamo momento per momento, allora perdiamo interesse, ci rassegniamo e andiamo verso la passività sociale.

Se le persone che vorrebbero scegliere in maniera intelligente, accurata, approfondita diminuiscono perché perdono interesse per la politica e non partecipano più in nessuna maniera ai problemi collettivi e se invece aumenta la maggioranza relativa delle persone che non hanno interesse, quelle che scelgono in maniera superficiale, seguendo il senso comune o gli istinti superficiali... chi ci guadagna?
Disinteressarsi alle attività collettive e politiche da vantaggio a chi può controllare i media, a chi può arrivare su larga scala a quella fascia di popolazione che sceglie in maniera superficiale ed è quindi più manipolabile dal sentito dire, dal senso comune o dagli istinti più primitivi del branco... la parte della popolazione che più facilmente è influenzabile dai media.

 

Istat 2009: LA PARTECIPAZIONE POLITICA
Differenze di Genere e Territoriali

Il 23,3% della popolazione di 14 anni e più non si informa mai di politica. Si tratta, in valori assoluti, di quasi 4 milioni di uomini e di 7 milioni 847 mila donne. La televisione è il canale di informazione che in assoluto viene utilizzato di più (93,5%). La televisione è il canale informativo che, da solo o con altri canali, è presente nelle scelte di informazione più diffuse. Per il 23% dei cittadini che si informano di politica, inoltre, è anche l’unico.

FONTE: ISTAT


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martedì 27 aprile 2010

La Riforma del Sistema Scolastico

DI SABRINA MANTINI

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Se la funzione della scuola è plasmare degli ingranaggi che si inseriscano perfettamente nel sistema economico e dei futuri adulti produttori – consumatori che abbiano una visione scientifica e materialistica del mondo, visto come realtà di scambio di beni e di servizi e di dinamiche sa sottoporre a fredda analisi, allora la scuola può e potrà rimanere così come attualmente è, improntata sulla teoria e sulla logica; anzi dovrà ampliare nei prossimi anni il suo potere di indottrinamento matematico, fisico, scientifico, economico. Quindi una riforma che vada verso il potenziamento dell’insegnamento della matematica, della fisica, dell’inglese (sempre più inteso in senso commerciale) e preveda la riduzione o l’abolizione di discipline ritenute vetuste come Storia dell’Arte o Latino è giusta, pertinente, necessaria. In una visione meccanicista del mondo risparmiare risorse convogliandole sui soli punti del sistema ritenuti fondamentali (economia, produzione, scienza) è un’operazione che non dovrebbe sorprendere nessuno: è pienamente diritto del governo, nonché di chiunque ne sposi la linea educativa e la visione della necessaria razionalizzazione delle risorse, sviluppare un progetto educativo più limitato nella varietà dell’offerta e sbilanciato, in linea generale, sull’asse delle materie scientifiche.

Se la scuola invece deve servire a produrre uomini vivi, pensanti in modo autonomo, capaci di creare e di dare alla vita un senso soggettivo bisognerebbe cambiare completamente schema progettuale, programmi, nonché linee di progetto e di riforma, ed insistere sull’insegnamento e l’apprendimento delle materie umanistiche e soprattutto di quelle che permettono di sviluppare la libera espressione di se stessi (che non può che essere poetica e soggettiva), la ricerca di un individuale significato, di una partecipazione all’esistenza svicolata dalla limitazione del materiale. Una scuola dove Italiano, Disegno e storia dell’arte, Storia e Filosofia non siano presenti in modo preferenziale e massiccio produrrà robot, non uomini, genererà macchine logiche, non artisti del pensiero, darà alla luce schiavi, non esseri liberi. E non basterà neppure che queste discipline, perno della formazione dell’uomo, siano presenti nelle scuole e che ad esse sia riservato un consistente monte orario all’interno del curriculo, bisognerà anche che siano insegnate nel modo giusto: attraverso il metodo del dialogo e del confronto, non tramite lezioni frontali, con il ricorso all’apertura all’attualizzazione e all’espressione, allo scontro e all’eventuale confutazione, non con la disciplina della ricezione passiva e del silenzio.

Una scuola dove l’alunno si limita a ricevere passivamente cumuli di nozioni logiche è una scuola che, a mio parere, non costruisce né costruirà un valido futuro, bensì produrrà un diligente e barbarico ritorno al passato, basato sulla subordinazione a forme di pensiero chiuse e dipendenti da sistemi (siano essi il sistema imposto dai politici, quello stabilito dal mercato o la blanda dittatura della visione della scienza). È una scuola di esseri non viventi pienamente adatta ad un mondo di sopravvissuti alla morte del senso della vita. E forse, visto lo stato horribilis in cui giace il mondo, è davvero questa la scuola che serve alle donne e agli uomini del XXI secolo.

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domenica 25 aprile 2010

Riflessioni di due Pubblicitari

DI FABIO VOLO

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Le aziende hanno imparato a dettare le regole uccidendo la fantasia: io pago, io ho ragione. Oltre ad essere un lavoro che è stato distrutto negli anni, ti regala spesso un senso di colpa se pensi che ti sei impegnato a riempire la testa della gente di cazzate, a convincere le persone di cose non vere, a creare nelle loro vite dei falsi bisogni.

Appena abbiamo iniziato a lavorare insieme siamo finiti a fare un weekend di lavoro. Eravamo andati a seguire un incontro che ci sembrava utile per la nostra professione. Si intitolava "L'estetica divora i figli del tempo e distrugge l'unico bene che l'uomo possegga: la personalità". Dal palco il relatore parlava: "Sappiamo di essere parte attiva ed importante del disfacimento dei valori sociali perché non vendiamo solo prodotti, noi vendiamo uno stile di vita, uno stile che sia possibilmente difficile e che allo stesso tempo però annienti tutti gli altri. Perché l'obbiettivo non è il soddisfacimento di un bisogno o più bisogni, piuttosto la necessità di alimentare sempre più desideri. Una volta soddisfatto un desiderio dobbiamo già averne inventato un altro ed un altro ancora da appagare..."

E' vero, noi manipoliamo la gente, chiediamo ed otteniamo attenzione dall'indifferenza quotidiana e ciò nutre il nostro ego. Noi creiamo il vuoto e l'angoscia e poi piazziamo il prodotto per riempirlo e tranquillizzare la gente. Come la chiesa, macchiamo del peccato originale e poi vendiamo lo smacchiatore. Il consumo è il motore della società perché ne determina i rapporti di forza, i modelli di comportamento le categorie sociali, ossia lo status sociale. Il messaggio va detto e ripetuto continuamente come una goccia cinese e così viene assorbito totalmente. Anzi, entra a far parte della natura del consumatore, tanto che è lui a condizionare se stesso, ad essere guardiano della propria cella. La grande conquista della società moderna è l'annientamento della cultura del risparmio: Spendo ciò che guadagno anzi, si può spendere anche di più, si possono spendere anche i soldi che si guadagneranno in futuro, quelli che ancora non possediamo grazie a tutte le agevolazioni di pagamento: rate, leasing, carta di credito... Bisogna continuamente stimolare e creare nuovi desideri e nuovi bisogni. Bisogna cercare nuovi mercati da invadere e conquistare come fossero territori. Bisogna convincere che comprare oggetti è un modo per sentirsi più sicuri. Sono tanti i modi per costringere all'acquisto; per esempio uno molto efficace è l'invecchiamento del prodotto, rimpiazzato sempre da nuove versioni. Spogliare velocemente l'oggetto di quella luce di novità, di quella sensazione di nuovo che regala un sentimento eccitante. Ci pensiamo noi a dirti che ormai è vecchio e, visto che il prodotto ti rappresenta, tu comprerai quello nuovo per essere sempre al passo con i tempi perché tu sei il prodotto e un prodotto nuovo ti rende più giovane. Noi abbiamo creato consumatori insaziabili.

Come disse Huxley :"Ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature senza lacrime; una sorta di campo di concentramento senza dolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto della loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici"

Ringraziamo Fabio Volo per la gentile disponibilità.
Fonte: IL TEMPO CHE VORREI

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martedì 20 aprile 2010

Incomincia da Te

DI MARCO CANESTRARI

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PICCOLI ACCORGIMENTI
PER UNA RIVOLUZIONE ETICA

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente, per cambiare qualcosa, costruisci un modello che renda la realtà obsoleta.


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lunedì 19 aprile 2010

Donne Acrobate

DI ANNA MULATTIERI

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Le donne di oggi sono sempre più schiacciate dagli impegni e dai sensi di colpa: vere acrobate, in bilico tra casa e lavoro, indaffarate e sempre di corsa. La nostra società, devota all'apparire e non all'essere, ci spinge a questa corsa sfrenata e senza sosta, lasciandoci troppo spesso stanche e insoddisfatte.

Per vivere meglio c'è la necessità di rallentare il ritmo, diventa quindi indispensabile mettere in discussione la gerarchia dei propri valori. Conseguenza di questo cambio di velocità può essere guadagnare di meno, il che può generare insicurezza: occorre perciò essere molto sicuri delle proprie priorità e delle proprie scelte. Dire "no" ai consumi eccessivi è un modo intelligente per riavere la propria libertà; iniziamo a spendere in modo più razionale, riciclare il riciclabile: ci si renderà presto conto che l'ennesimo acquisto spesso è solo un modo per gratificarci della fatica che si fa o per ricompensare i figli, sull'onda del senso di colpa dovuto alle assenze. Ogni cosa che costa denaro deve produrre vero benessere e se non è così, va tagliata.

Ma al di là del lavoro, questo cambio di marcia si può applicare anche alla vita di tutti i giorni, alleggerendo il proprio ruolo in casa, con gli amici o in ufficio con piccole strategie; il vantaggio è avere più tempo da dedicare ai propri interessi, alla famiglia e al relax. Un primo passo per cambiare le solite abitudini può essere quello di stabilire delle regole semplici, dividere i compiti con buonsenso e ragionevolezza. Bravissime a lamentarci di non avere un minuto libero, spesso siamo noi stesse a imporci sacrifici troppo pesanti, perché abbiamo bisogno di sentirci indispensabili: non si può fare tutto da sole, dobbiamo imparare a delegare e ad accettare i contributi. Non bisogna imporsi di avere tutto sotto controllo, la donna/mamma perfetta non esiste e poi i bambini amano essere responsabilizzati con piccoli compiti (preparare la tavola, vestirsi da soli, sistemare la cameretta). Non ostiniamoci a fare tutto al posto loro per riuscire prima e meglio: è importante lasciarli sbagliare perché imparino, presto sapranno rendersi utili con soddisfazione reciproca. La nostra frenesia ha contagiato anche i figli, sballottati da un corso all'altro, con l'ansia da prestazione già all'elementari: un invito a sdrammatizzare e ridimensionare le aspettative su di loro, per diventare genitori più sereni.
 
Succede con i figli, ma anche con gli altri impegni familiari e con gli amici: se si è sempre disponibili si rischia di essere fagocitati dalle richieste altrui. Si ha la sensazione che tutti rubino il nostro tempo, ci si trova incapaci di difendersi e questo succede perché si prova compiacimento nel fare la parte dell'amica salvifica che ascolta, comprende e consiglia. Ma la propria disponibilità non è infinita e merita un ringraziamento; in cambio del proprio tempo bisogna imparare a chiedere anche il loro di aiuto per le mansioni che si possono delegare. Chiedendo un piccolo scambio si darà anche più valore al tempo che si dedica agli altri, non farlo significa mettersi per prime nella condizione di svalutare il proprio tempo. Un altro dei segreti per recuperare tempo per sé è dare il giusto valore alla solitudine, prendersi una mezza giornata per stare soli e usare questo tempo per fare cose semplici, senza rinunciarvi al primo imprevisto; è importante farlo con regolarità, dando più valore alle uscite, circondandosi di persone affini e interessanti, e non accettare gli inviti che non convincono, solo per compiacere gli amici.

Quando si è stanche bisogna fermarsi. Anziché guardare l'orologio, una buona abitudine è ascoltarsi, non spremersi troppo: per stare meglio si deve staccare, dobbiamo imparare a fare di meno!Risparmiando tempo per sé, si riscoprirà la bellezza delle cose e dei luoghi, liberando la mente dalla pesantezza che spesso ci affligge. Sono piccole strategie da attuare nella vita di tutti i giorni per puntare ad un obiettivo ben preciso: Avere più tempo da regalare a se stessi.

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mercoledì 14 aprile 2010

Come Non Farsi Controllare nei Paesi Democratici

DI MARCO CANESTRARI

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Sotto le condizioni analizzate finora, i problemi che richiedono una visione d’insieme e un’organizzazione sistematica su ampia scala, non possono essere risolti e la legge non è più garanzia di giustizia.

 

COSA FARE?
Cambiamo queste condizioni

  1. CONOSCENZA – Fare conoscere i modi in cui si possono controllare le masse nei paesi democratici. Fare conoscere i modi in cui si può vivere eticamente e contribuire a innalzare nel suo insieme la qualità della vita della collettività. Garantire queste conoscenze come base fondamentale dell'istruzione, dell'educazione e della cultura.

  2. LIMITIAMO I VINCOLI – Limitiamo le scelte che prevedono vincoli, legami o impegni a lungo termine. Garantiamoci sufficiente tempo per le attività non pianificate, anche quelle non economicamente produttive. Consumiamo meno di quanto gli standard dei media vorrebbero imporre.

     

CREIAMO SCELTE SEMPRE PIU' CONSAPEVOLI 
L'accesso libero e comodo a tutte le informazioni, anche quelle non filtrate,
è in assoluto una delle principali armi contro la manipolazione mentale.

 

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mercoledì 7 aprile 2010

Sintesi della Manipolazione di Massa

DI MARCO CANESTRARI 
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lunedì 5 aprile 2010

Sentimento e Azione

DI DANIELA BUSCAINO

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Qualche giorno fa ho visto una televisione diversa, mi ha fatto riflettere. In due servizi differenti di una stessa trasmissione si parlava d' emarginazione. Due mondi, assolutamente lontani, a confronto, eppure così vicini fra loro. In uno si parlava di splendidi ragazzi down che ogni giorno lottano per farsi accettare dalla società che ancora oggi li vede come “malati”, nell’altro della povertà assoluta e dei disagi delle madri e dei bambini del Congo.

Cosa c’entrano fra loro questi due mondi? Niente. Ma la cosa che li accomuna è il modo in cui sono visti dalla società. Che cosa suscitano in noi queste notizie? In entrambi i casi una grande partecipazione emotiva fino a quando tutto sta di là dello schermo, fino a quando cioè, non possiamo più limitarci al semplice commento e alla commiserazione che ci mette a tacere la coscienza. Nel momento in cui ci viene chiesto di agire significativamente ecco che compare il vero demone a guidare i nostri pensieri. Improvvisamente la commiserazione lascia il posto ad una serie di giustificazioni che ci permettono di metterci al riparo dall’agire a favore di queste cause. Quando la nostra realtà si scontra con queste situazioni, nell’imbarazzo più totale, ci defiliamo, non sappiamo reagire e giriamo la testa dall’altra parte perché “è più facile non vedere”. Così se capita di assistere agli insulti, in una pizzeria, rivolti al padre di un figlio down siamo subito pronti a giudicare ma non ad intervenire. Per la paura che un giudizio negativo, da una delle due parti, ci possa colpire, rimaniamo inermi a guardare senza prendere una posizione.

Che cosa pensare? La coscienza ci guida giustamente solo nell’intimo della nostra casa mentre fuori è troppo importante confrontarsi con la massa piuttosto che rischiare l’emarginazione? Questo non è accettabile, per noi è la sconfitta dei sentimenti. Allora cosa fare? Imparare ad essere coerente col nostro pensiero, fare in modo che l’emozione suscitata si trasformi in atteggiamento positivo. Partecipare attivamente alla realizzazione di progetti che inducano, in ognuno di noi, la consapevolezza che non siamo solo spettatori dei disagi di questa società ma che ci impegniamo affinché questi disagi si riducano sempre più. Un atteggiamento positivo genera partecipazione e contagia anche coloro che credono impossibile esporsi a favore di cause che sembrano perse a priori.

Partecipare il proprio dissenso significa coinvolgere anche chi ha paura di dire la sua e incoraggiare dialoghi e azioni costruttive per la società e per noi stessi che, così facendo, acquisiamo forza e fiducia per cambiare a favore di quella parte di società che non accetta di eguagliarsi alla massa.

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Virtù

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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La virtù è del cuore e non della mente. Quando la mente coltiva la virtù, non è che calcolo astuto; è un'autodifesa, un abile adattamento all'ambiente. La perfezione di se stessi è la negazione medesima della virtù. Come può esserci virtù dove c'è paura? La paura è della mente e non del cuore. La paura si cela sotto forme diverse: virtù, rispettabilità, adattamento, servire e così via. La paura esisterà sempre nei rapporti e nelle attività mentali. La mente non è separata dalle sue attività; ma separa se stessa, dandosi così continuità e permanenza.

Come un bimbo si esercita al pianoforte, così la mente abilmente pratica la virtù, per rendersi più durevole e dominante nell'affrontare la vita o nel conseguire ciò che ritiene essere più elevato. Ci deve essere vulnerabilità nell'affrontare la vita e non la rispettabile muraglia della virtù che t'imprigiona. Ciò che è più elevato non può essere raggiunto; non c'è strada, nessuno sviluppo matematicamente progressivo, in quella direzione. La verità deve venire, tu non puoi andare alla verità e la tua virtù coltivata non ti ci porterà. Ciò che tu raggiungi non è la verità, ma la proiezione del tuo desiderio; e soltanto nella verità c'è la felicità. La scaltra adattabilità della mente al suo proprio perpetuarsi alimenta la paura. E' questa paura che bisogna profondamente capire, e non come si debba essere virtuosi. Una mente meschina può mettere in pratica la virtù, ma resterà pur sempre meschina. La virtù è dunque un'evasione dalla propria meschinità e la virtù che essa raccoglierà sarà pertanto meschina essa pure. Se non si comprende questa meschinità, come potrà esservi sperimentazione della realtà? Come potrà una mente ristretta e virtuosa essere aperta all'incommensurabile?

Nel comprendere il processo della mente, che è l'io, la virtù viene in essere. La virtù non è resistenza accumulata; è la coscienza spontanea e la comprensione di ciò che è. La mente non può comprendere; può tradurre in azione ciò che è stato inteso, ma non è capace di comprensione. Per comprendere, ci deve essere il calore del riconoscimento e della ricezione, che soltanto il cuore può dare, quando la mente tace. Ma il silenzio della mente non è il risultato di un calcolo sottile. Il desiderio di silenzio è la maledizione del conseguimento, coi suoi dolori e conflitti senza fine. Il desiderio ardente di essere, negativamente o positivamente, è la negazione della virtù del cuore. La virtù non è conflitto e conquista, esercizio prolungato e risultato conseguente, ma uno stato di essere che non è il prodotto della proiezione del desiderio. Non v'è esistenza dove sia lotta per esistere. Nella lotta per essere, c'è resistenza e negazione, mortificazione e rinuncia; ma la vittoria su questa non è virtù. La virtù è la tranquillità che viene dall'essere liberi del desiderio di essere, e questa tranquillità è del cuore, non della mente.

Mediante l'esercizio, la costrizione, la resistenza la mente può darsi tranquillità, ma siffatta disciplina distrugge la virtù del cuore, senza la quale non v'è pace, non v'è benedizione; perché la virtù del cuore è comprensione.

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giovedì 1 aprile 2010

La Repressione Non è La Medicina per Ogni Male

DI MARCO CANESTRARI

Cerchiamo sempre più spesso la soluzione a tutti i mali sociali in una legge che sia più repressiva, più forte della precedente, in un’imposizione dall’alto che venga con sempre maggiore autonomia e in una pena che sia più severa. "Legge" però non significa solo imposizione dall’alto e obblighi sulla società. La legge è uno strumento utile e costruttivo quando è al servizio della società e prodotta dalla società e tutela da una parte le basi del vivere collettivo, ovvero tuteli l’organizzazione di una struttura che sia educativa che sviluppi benessere sociale, sia materiale sia psichico, partendo dalla libertà, dalla serenità, dalla libera informazione, che costruisce cioè una capacità costruttiva e propositiva di ogni singolo… e dall’altra anche tutta la serie di obblighi e divieti che conosciamo bene che cercano di garantire la nostra sicurezza.

La repressione non è lo strumento che da solo risolve tutti i mali della società e soprattutto, non agisce all’origine del problema, è solo un tentativo di reprimere i sintomi di un problema a cui non siamo stati capaci di dare una risposta definitiva. Un problema che non siamo stati capaci di risolvere o che non abbiamo voluto risolvere. Abbiamo già visto che nei paesi in cui c’è un forte controllo aumenta lo stress e quindi la criminalità e l’illegalità, abbiamo anche visto in che maniera si può sfruttare la normale reazione di paura che abbiamo di fronte al caos e all’illegalità per accentrare il potere politico e militare. Arrivando in certi casi, ad un accentramento di potere tale da poter agire quasi autonomamente sui cittadini con controllo e repressione, avendo anche la possibilità di controllare i dissensi e di fare delle leggi che limitino la partecipazione diretta dei cittadini alla vita del paese.

Quindi, la prossima volta che vediamo in televisione la notizia di un ubriacone magari extracomunitario pericoloso che investe i bambini, ruba e stupra, su cui abbiamo imparato tutti a puntare il dito, e che magari esce di prigione per un cavillo legale, per una legge applicata male o poco repressiva, riflettiamo un momento sulla nostra naturale e prevedibile reazione… In quei momenti, quando diamo addosso al mostro di turno sbattuto in prima pagina chiedendo a gran voce una pena più esemplare e delle leggi più repressive e contribuiamo in prima persona a sbilanciare il significato collettivo di legge verso l’unico aspetto della repressione e del controllo, dimenticando l’interesse sociale e politico per il suo significato principale: che è quello di mettere le radici di una società sempre più consapevole che sappia cooperare nella diversità invece che isolarsi ed evolvere verso una qualità della vita collettivamente sempre migliore.

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