domenica 30 maggio 2010

Bisogna Agire per Se Stessi o per il Bene degli Altri?

DI MARCO CANESTRARI

egocentrismo
Sempre più persone si stanno rendendo conto dei limiti di una visione esclusivamente egocentrica della propria esistenza. Quella, per intenderci che in nome della libertà individuale esclude ogni tipo di responsabilità verso gli altri.

Questo modo sbilanciato di concepire la vita determina, alla lunga, una sfrenata rincorsa al potere dell’uomo sull’uomo. Un ambiente competitivo e non sereno dove l’individuo per potersi garantire il suo spazio vitale è portato ad entrare nel meccanismo di volere andare avanti anche a scapito degli altri. Su scala planetaria si evidenzierà chiaramente questo desiderio di accumulare sempre più potere sugli altri, troveremo, infatti, gruppi privati con poteri economici superiori a quelli di interi stati, e contemporaneamente decine di migliaia di bambini che muoiono al giorno per problemi legati alla povertà (circa la metà dei decessi avviene per fame). Il modo attuale di vivere, anche a livello economico, inizia ad evidenziare delle grosse crepe. D’altro canto ogni altro modello che abbiamo avuto nella nostra storia, dove l’uomo veniva, per legge, mutilato dei suoi istinti individuali e reso subordinato ad un sistema superiore che avrebbe dovuto garantire il “bene collettivo”, ha fallito miseramente. Ogni modello e sistema che vogliamo proporre pian piano si adatta e viene fagocitato dall’istinto egocentrico insito nell'uomo.

Allora cosa bisogna fare? L’errore non è nell’istinto individuale e nemmeno nella sensibilità collettiva, l’errore consiste sempre nel trascurare una cosa a favore dell’altra.  L’egocentrismo, quello della massima libertà, che però non prende in considerazione la collettività nel complesso porta ad una degenerazione dei valori fino ad una ricerca sfrenata di potere. Invece l’imposizione di attività collettive che trascurino l’enorme energia portata dall’appagamento personale, vengono presto accantonate e sostituite da altre più forti e soddisfacenti.

Bisogna avere una visione d’insieme della vita come individuale e collettiva allo stesso tempo. Iniziamo allora a non demonizzare l’attività individuale, che è una delle spinte fondamentali dell’uomo. Attingiamo invece energia da essa e sfruttiamola per migliorare anche la qualità della vita a livello collettivo. Un sistema basato su freni e limitazioni non potrà mai competere contro un altro pieno di energia. Educhiamoci allora a liberare l'energia di ogni individuo e ad utilizzarla costruttivamente. La soluzione sta nel favorire le iniziative che esaltino l’essere umano i cui progetti non vadano in contrasto con le esigenze degli altri uomini e con i loro diritti. Cerchiamo, promuoviamo e incoraggiamo tutte le attività a vantaggio personale che producano anche effetti positivi a livello collettivo. Innalziamo la nostra qualità della vita e anche quella di tutti gli altri, mettiamoci in prima linea per gettare le basi di una rincorsa verso il positivo dove tutti vincano.

Non trascuriamo nessuno dei due aspetti: il naturale istinto dell’individualità, della ricerca di sicurezza e di piacere personale, ed anche la naturale sensibilità che ci porta ad avere una responsabilità sociale.

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giovedì 27 maggio 2010

Spostare l'attenzione sulla Persona invece che sulle Idee che porta

DI MARCO CANESTRARI

Per favorire la controllabilità delle masse nei paesi democratici abbiamo visto che è utile stimolare modelli di pensiero istintivi, reattivi e favorire l'ignoranza allo scopo di ridurre il livello delle indagini e limitare la cooperazione fra i singoli. Bisogna ridurre tutte le indagini al battibecco personale e al gossip, abbassando la discussione all’attacco personale. Si sposta l’attenzione sull’immagine pubblica della persona piuttosto che sui contenuti delle sue idee. Tutto fa brodo: dall’indiscrezione su un passato torbido fino al gossip superficiale da talk-show, l’importante è che provochi una reazione popolare e che faccia discutere. Abbiamo già visto, nelle serie su “Come si Controllano le Masse nei Paesi Democratici”, che spostando l'attenzione collettiva sulla reputazione della persona, invece che sui principi da portare avanti, ogni soluzione diventa vulnerabile e si fa vincere sempre chi ha più possibilità mediatica di creare scalpore e interesse. Mentre sono fortemente penalizzate tutte le iniziative che, senza l’aiuto dei mass media, richiedono un organizzazione collettiva nel tempo e su vasta scala. Bisogna smetterla di reagire alle provocazioni dei media come se giustizia, economia e la politica fossero al centro di in un'unica arena televisiva, guidate dagli istinti del branco.

PORTIAMO AVANTI LA SOLUZIONE INVECE CHE LA PERSONA

Iniziamo a dare il nostro consenso a favore delle iniziative che siano il più possibile immuni dal potere disgregante dei media. Incoraggiamo le scuole di pensiero che insegnano a giudicare il principio come base collettiva da supportare e non la persona (che è sempre soggetta ad una vulnerabilità pubblica). Sviluppiamo dei metodi di lavoro che permettano ad ogni movimento di crescere, perseguendo soluzioni concrete con trasparenza ed efficienza, indipendentemente dall’intercambiabilità delle persone che li costituiscono. E’ l’unica strada che può portarci ad un risultato realmente democratico.

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domenica 23 maggio 2010

Vite in Vendita

DI VALERIO PASSERI

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Il timore di non arrivare a fine mese e la necessità di essere sempre al passo con i tempi sono un un insieme di fattori che avvelenano, deteriorano e lentamente “uccidono” la nostra vita. Vestiti firmati, cellulari di ultima generazione, ma anche il rendersi schiavi di una banca per comprare una casa fanno parte della normalità.

Nel sistema politico-economico che ormai ingloba il nostro ed altri paesi, la vita umana viene valutata meno di zero, ogni individuo è un ingranaggio e vive per il sistema, non per se stesso. In questo non c’è distinzione tra ricchi e poveri, si è portati a vivere una vita insignificante, non si riesce a provvedere alla propria felicità perché non si riesce più a comprendere come essa possa essere raggiunta. Sempre più frequentemente si assiste ad una resa totale ad un sistema dove c’è l’illusione che solo chi possiede molto denaro possa essere felice, peccato che il concetto di “molto” sia relativo ed in realtà irraggiungibile. “I soldi non fanno la felicità” - dovrebbe essere ovvio: dei pezzi di carta stampata non possono produrre uno stato d’animo puro e ricercato, eppure oggi molti sentono come falso ed ipocrita un concetto simile. Anche se non si vuole dare a vedere, si riesce a dare un prezzo alla vita stessa, il concetto delle guerre è proprio questo, milioni di persone sacrificabili in cambio di un pozzo di petrolio. Come se il sistema economico non bastasse, anche quello politico-giuridico presente in molti paesi che consideriamo civilizzati contribuisce alla perdita di questo valore, utilizzando la pena di morte come punizione per i reati peggiori. A completare il quadro, l’assuefazione da notizie di stragi, assassini e morti fornita dai media, influisce non poco a questa lenta ed inesorabile svalutazione. Il nostro cervello, abituato a ricevere quotidianamente queste notizie, automaticamente sminuisce la gravità di omicidi ed esecuzioni, essi diventano consuetudine portando a rispettare sempre meno la vita altrui e inconsapevolmente anche la propria. Se solo si riuscisse a capire realmente e profondamente che la qualità della vita è in verità il bene più prezioso che abbiamo e che essa non ha un valore paragonabile a nient'altro, allora tutte le leggi e punizioni che ci autoinfliggiamo non avrebbero ragione di esistere. Per arrivare ad un risultato simile è primario che si cominci a rispettare l’esistenza degli altri ed opporsi, non appoggiare tacitamente, tutte quelle pratiche che vanno contro di essa per qualsivoglia tipo di ragione che sia politica, economica o religiosa.

Infine non dimentichiamoci che la vita che abbiamo a disposizione è una soltanto e sprecarla interamente per fare cose che sentiamo di "dovere fare" e non "volere fare" è un vero peccato. L’unico obbligo che in realtà abbiamo è verso noi stessi non verso il nostro capo o il sistema di cui facciamo parte.

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sabato 22 maggio 2010

L'Individuo e la Società

DI JIDDU KRISHNAMURTI

Quali sono i rapporti tra l'individuo e la società? Ovviamente, la società esiste per l'individuo, e non il contrario. La società esiste perché l'uomo prosperi; esiste per dare libertà all'individuo, ond'egli possa avere l'opportunità di ridestare in sé l'intelligenza più alta. Questa intelligenza non è un semplice coltivare la tecnica o la scienza, ma essere in contatto con la realtà creativa, la quale non è della mente superficiale. L'intelligenza non è un risultato cumulativo, ma libertà dal conseguimento e dal successo progressivi. L'intelligenza non è mai statica; non può essere copiata e standardizzata, e quindi non può essere insegnata. L'intelligenza è da scoprirsi in libertà.

La volontà collettiva e la sua azione, che è la società, non offre questa libertà all'individuo; perché la società, non essendo organica, è sempre statica. La società è connessa, posta insieme, per la comodità dell'uomo; non ha un meccanismo indipendente suo proprio. Gli uomini possono catturare la società, guidarla, formarla, tiranneggiarla, a seconda del loro stato psicologico; ma la società non è signora dell'uomo. Essa può influenzarlo, ma l'uomo la spezza sempre. C'è conflitto tra l'uomo e la società perché l'uomo è in conflitto entro sé stesso; e il conflitto è tra ciò che è statico e ciò che è vivo. La società è l'espressione esteriore dell'uomo. Il conflitto tra se stessi e la società è il conflitto nell'intimo di noi stessi. Questo conflitto, intimo ed esterno, esisterà sempre fino a quando l'intelligenza superiore non si desti. Noi siamo entità sociali così come siamo individui; siamo cittadini e uomini nello stesso tempo, divenienti distinti nel dolore e nel piacere. Se deve esservi pace, dobbiamo comprendere il giusto rapporto fra l'uomo e il cittadino. Naturalmente, lo Stato ci preferirebbe del tutto cittadini; ma questa è la stupidità dei governi. Noi stessi ameremmo cedere l'uomo al cittadino, perché essere cittadino è più facile che essere uomo. Essere un buon cittadino significa funzionare efficientemente nel quadro di una data società. Al cittadino si richiedono efficienza e conformismo, poi che lo rendono duro e spietato; e allora egli è capace di sacrificare l'uomo al cittadino. Un buon cittadino non è necessariamente un uomo buono; ma un uomo buono è tenuto ad essere un buon cittadino, quali che siano la sua società e il suo paese. Poiché egli è innanzitutto un uomo buono, le sue azioni non saranno antisociali, egli non si porrà contro un altro uomo. Vivrà in cooperazione con altri uomini buoni; non cercherà autorità, perché non ha autorità; sarà capace di efficienza senza la spietatezza che l'accompagna. Il cittadino tenta di sacrificare l'uomo; ma l'uomo che sta cercando l'intelligenza più alta naturalmente eviterà le stupidità del cittadino. Così lo Stato sarà contro l'uomo buono, l'uomo di intelligenza; ma quest'uomo è libero d'ogni governo e paese.

L'uomo intelligente porterà in essere una buona società; ma un buon cittadino non darà vita a una società in cui l'uomo possa essere dell'intelligenza più elevata. Il conflitto tra il cittadino e l'uomo è inevitabile se il cittadino predomina; ed ogni società che deliberatamente trascura l'uomo è condannata. V'è riconciliazione fra il cittadino e l'uomo soltanto quando sia stato compreso il processo psicologico dell'uomo. Lo Stato, la presente società non si occupano dell'uomo interiore, ma solo dell'uomo esteriore, del cittadino. Essi possono negare l'uomo interiore ma questo sopraffà sempre quello esteriore, distruggendo i piani abilmente studiati per il cittadino. Lo Stato sacrifica il presente per il futuro, sempre salvaguardando se stesso per il futuro; considera il futuro di importanza suprema, non il presente. Ma per l'uomo intelligente il presente è della massima importanza, l'oggi e non il domani. La comprensione di ciò che è può essere compreso soltanto con lo svanire del domani. La comprensione di ciò che è determina la trasformazione nell'immediato presente. E' questa trasformazione la cosa di suprema importanza e non il modo di riconciliare il cittadino con l'uomo. Quando avviene questa trasformazione, cessa il conflitto tra il cittadino e l'uomo.

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martedì 18 maggio 2010

S.O.S. Tv… La Vendetta!

DI ASSUNTA RONCO

Tempo

L’età media degli insegnanti di scuola elementare, in Italia, è 48 e mezzo. Non ce ne faremmo nulla di un dato statistico se non fosse correlato all’età dei bambini che riempiono le classi di questi insegnanti: dai 6 ai 10 anni. Un divario soprattutto culturale! Infatti questi bambini, a differenza dei loro insegnanti, sono cresciuti con la televisione. Può sembrare una semplice dettaglio, ma in realtà quei bambini sono esseri totalmente diversi, nella testa e nel funzionamento della stessa… come dire: “umani ed extraterrestri,” senza nessuna intenzione di attribuire una connotazione di valore all’uno piuttosto che all’altro. Quali sono allora i danni di questa “tata” a buon mercato? Facendo il mestiere di leggere le fiabe mi sono accorta dell’enorme difficoltà dei bambini di sei anni, appena giunti alla scuola primaria, a prestare attenzione e ad ascoltare, di immaginare e di avere capacità critica.

Difficoltà nella rappresentazione mentale. Se per esempio leggo a voce alta: “C’era una volta, in un bosco fitto fitto, una caverna buia e umida,” il bambino cresciuto con la televisione che non è mai stato sollecitato a “immaginare” molto difficilmente sarà “catturato” piacevolmente dalla storia. Non sarà probabilmente in grado di rappresentare nella sua mente il bosco fitto fitto o la caverna buia e umida.

 
Povertà di immaginazione. La televisione ci abitua ad avere il supporto dell’immagine che visualizza ogni concetto o parola chiave facilitandone la comprensione e se la comunicazione per immagini è una costante della nostra società, d’altro canto impigrisce l’enorme potenziale immaginativo! Prova ne è che molto spesso i bambini, quando sono soli o quando non sono “gestiti” da adulti, non sono in grado di attivare la fantasia e si annoiano

….e di capacità critica. Quando il bambino disegna si rifà ai modelli televisivi che diventano modelli comuni a tutti i bambini del gruppo classe. Ciò li rassicura perché si sentono come gli altri, ma impedisce il confronto e la dialettica. Come si può, poi, far assimilare ai bambini che la diversità è un valore che arricchisce se già li abbiamo resi tutti uguali?

Riferimenti culturali. Se poi, a tutti questi fattori, aggiungiamo l’aspetto culturale, assolutamente non trascurabile, abbiamo completato il quadro. I riferimenti culturali a cui ci rifacciamo quando per esempio cerchiamo di condurre il bambino ad una riflessione, ad una sua responsabilità, ad un senso “del dovere,” per esempio, sono riferimenti solo nostri, trasmessi da una cultura soprattutto letteraria e non hanno più nulla o quasi a che vedere con i riferimenti culturali assimilati dai nostri bambini anche solo attraverso un cartone animato. Pertanto diventa ulteriormente difficile fare breccia nei nostri piccoli interlocutori per creare una proficua comunicazione.

CHE FARE?

Drasticamente direi “Licenziate la tata!”, ma mi rendo conto dell’impopolarità della proposta. Comunque sia conviene assumerla a ore, a mezze ore, anzi, dandole compiti ben precisi. Il compito privilegiato dell’educazione è squisitamente di mamma e papà che possono fare davvero prodigi:

La Parola. Spesso abbiamo perso fiducia nel valore della parola che invece ha una valenza potentissima e magica. Parlare con i bambini, raccontare , cantare…creare un tessuto di relazione che nel tempo si rivelerà indistruttibile.

I Supporti creativi. Mettere uno specchio nella stanza dei bambini e un cesto con tanti vestiti cappelli e oggetti per il travestimento.

Aggregazione. Cercate amici che abbiano figli dell’età dei vostri e confrontatevi.

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lunedì 17 maggio 2010

Legge Giusta, Legge Sbagliata

DI SABRINA MANTINI

GIUSTIZIA E PACE. Corrado Giaquinto

La prima legge scritta della storia fu il babilonense Codice di Hammurabi. Era una legge che prevedeva pene corporali e pena di morte con differenziazioni drastiche a parità di reato tra le pene destinate ai nobili, molto più leggere, rispetto a quelle riservate ai liberi e ancor più agli schiavi. In una società arcaica il Codice era giusto: la mentalità dei tempi antichi non riconosceva uguaglianza, né parità di diritti agli uomini nati in condizioni sociali diverse.

Il primo regime ateniese, dopo le crisi sociali determinate dallo strapotere degli eupatridi (aristocratici), fu l’oligarchica sistemazione degli ordini sociali effettuata da Solone: assegnava potere politico reale solo ai più ricchi, garantiva diritti di partecipazione alla vita pubblica via via sempre inferiori man mano che diminuiva il patrimonio posseduto dal cittadino. Ai teti, i nullatenenti, rimaneva il diritto formale di partecipare ad assemblee in cui si discutevano i problemi senza poter arrivare ad alcuna soluzione. Ma era il primo ordinamento della storia che riconosceva la partecipazione teorica a tutti i cittadini. Basandosi sulla suddivisione di diritti E DOVERI assegnava i maggiori diritti a chi pagava maggiormente le tasse e a chi aveva la reale capacità di poter governare. In una società arcaica dell’inizio della Grecia classica questa legge era giusta: le classi sociali avevano diritti differenziati sulla base di differenze reali di doveri e capacità.

Oggi noi viviamo in un’epoca moderna contemporanea, e facendo il nostro paese parte del mondo occidentale, erede dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese e del 68’ la nostra organizzazione sociale ha raggiunto ed assimilato i concetti di democrazia, di uguaglianza davanti alla legge, di parità di diritti e di doveri. Sono traguardi che sono stati raggiunti attraverso lotte, tumulti, morti e sacrifici. Oggi non può essere giusta una legge che non garantisca uguaglianza completa dei singoli davanti alla legge. Oggi il Codice di Hammurabi o la Costituzione di Solone sarebbero ridicoli e ingiusti. OGGI. Ma forse in un futuro arcaico non sarà così perché, si sa, la Storia si nutre di corsi e ricorsi e a volte torna indietro, giusto per far ripassare i concetti non ben appresi dalla gente, da brava “magistra vitae” è probabile che desideri far memorizzare meglio la lezione a questa stupida umanità…

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venerdì 14 maggio 2010

L'Individuo Vincente ed Egocentrico

DI MARCO CANESTRARI

Per rendere la popolazione controllabile si devono stimolare i modelli che limitano la cooperazione verso la soluzione dei problemi collettivi su ampia scala. Si devono promuovere tutti gli aspetti positivi dell’immagine individualista e forte, furba, competitiva e determinata e magari anche un po’ aggressiva, impulsiva, egocentrica e  bugiarda. Si omettono dalla consapevolezza comune del paese tutti gli altri aspetti della vita non favorevoli economicamente o politicamente al regime, soprattutto quelli che possono favorire la cooperazione fra singoli mettendo in discussione il sistema di controllo, come ad esempio: l’altruismo, la fiducia, la sensibilità, l’empatia, l’ascolto, la serenità, la riflessione profonda, la sincerità, la cultura, ecc… Inoltre, si stimolano invidie e sensazioni di inadeguatezza verso chi non si conforma al modello che tutti devono conoscere: estetico, politico, stile di vita, economico.

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mercoledì 12 maggio 2010

Grattachecca e Fichetto

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Un modo efficace e duraturo per controllare le masse attraverso i media, è quello di agire direttamente sulle generazioni più giovani. I cambiamenti più radicali e duraturi si ottengono infatti su soggetti la cui identità non si è ancora del tutto formata e la cui struttura psichica non si è ancora stabilizzata. È facile notare come i bambini siano molto più attratti degli adulti dalla scatola magica che chiamiamo televisione. Così una volta che essa farà irruzione nelle loro vite, magari sostituendo le cure di genitori troppo impegnati o altri agenti socializzanti quali asili o babysitter, si assisterà progressivamente ad una forma di profondo attaccamento nei confronti del mezzo, tanto forte da crearne talvolta dipendenza.

Mentre fino a qualche tempo fa i bambini avevano fasce orarie limitate durante le quali usufruire della televisione, cosa che arginava in parte le capacità di circoscrizione della realtà che essa possiede, con la nascita, negli ultimi anni, di canali interamente dedicati ai cartoni animati e ad altri programmi pensati per l’infanzia e la prima adolescenza (es. Cartoon Network, Disney Channel, Boing, etc.) è per un bambino oggi possibile seguire i propri format preferiti 24 ore su 24. La velocità con la quale un bambino apprende è maggiore di quella di un adulto. L’apprendimento di un modello proposto non fa eccezione. Un bambino nutrito dalla televisione, assimilerà molte più informazioni e molto più velocemente della media dei fruitori del servizio. Avete notato che Bart e Lisa Simpsons (in generale tutti i bambini della famosa serie americana “The Simpsons”) di fronte al loro programma preferito Grattacheccha e Fichetto Show, cartone animato che ricalca una violentissima parodia del più famoso Tom e Jerry, si lasciano cadere in fragorose e immotivate risate, al cospetto di adulti non del tutto convinti? Il fenomeno viene inoltre mascherato dai media sotto un velo che si autogiustifica in nome di un inevitabile gap generazionale. E’ molto importante che i primi ad essere educati ad un utilizzo intelligente della televisione siano proprio i bambini. Dedicate loro più tempo, non parcheggiateli di fronte ad una scatola che li renderà parte di una massa di colore tristemente grigio. Il giallo del sole e il verde dei prati, questi sono i colori che fanno bene ai bambini. Cercate di regalarglieli ogni giorno, e avete regalato loro, la bellezza della libertà.

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lunedì 10 maggio 2010

Tanti Re, Pochi fanti

DI VALERIO PASSERI

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In questi anni 2000, l’ambizione di emergere sugli altri e diventare famosi è uno dei desideri più frequenti nella gente comune. La televisione sembra mettere a disposizione di tutti la “grande opportunità” di partecipare a reality show come concorrenti o improvvisati opinionisti presenziando in programmi dove si mettono alla mercé di tutti le proprie storie personali.

La chiamano Tv della realtà, perché in un modo o nell’altro mette a nudo le persone e le loro storie. Anche ammettendo che esse siano vere, fa comunque pensare che molti siano così ben disposti a raccontare fatti personali e ancor di più che ci siano milioni di persone interessate quasi morbosamente a quello che stanno dicendo. Sembra che ogni mezzo sia giustificato per conquistare quei 30 secondi di popolarità. Vogliono tutti essere dei Re, vogliono tutti sentirsi importanti nell’arena a giudicare o ad essere giudicati. Siamo degli illusi se pensiamo che la TV voglia regalarci quel minuto di gloria, in realtà lo paghiamo a caro prezzo: Quando per vent’anni siamo abituati a vedere in TV gente che esteriorizza continuamente i propri sentimenti e le proprie emozioni, tutti impariamo ad amare, ad odiare, ad arrabbiarci e a reagire nelle forme e nei modi in cui siamo abituati a vederli, tutte le nostre reazioni diventano prevedibili e quindi controllabili.

E’ ormai consuetudine vedere gente che giudica e discute cose di cui non conosce nulla, tutti possono dire la loro alla pari con tutti. Nelle modalità in cui avviene ora, se dovesse prendere la parola qualcuno ben informato sull’argomento affrontato, si confonderebbe senza alcuna via di scampo con tutte le miriadi di altre voci che ignorantemente replicano. In questa maniera ci abituano a nuovi modelli educativi che non hanno nulla di etico ne’ di istruttivo. Questo vuol dire che siamo sostanzialmente aperti ad imparare da chiunque, non c’è da sorprendersi se poi troviamo dietro le cattedre universitarie personaggi come Fabrizio Corona, poiché non ci viene appositamente proposto nessun esempio migliore da seguire. Il problema è che la televisione distrugge i modelli etici costruiti ed evoluti nei secoli dalla comunità senza crearne di nuovi, non lascia traccia della memoria collettiva e punta a distruggere tutto ciò che favorisce la consapevolezza. La maggior parte della gente si avvicina ed entra a far parte di questo mondo allettata dalle prospettive di arricchimento facile, spesso credendo che il denaro renda liberi da ogni forma di controllo. Questa è una grande falsità, se si cerca di sfruttare il sistema a proprio vantaggio irrimediabilmente se ne entra a far parte, si diventa le marionette che aiutano a creare altre marionette, è un processo che si autoalimenta.

La libertà si conquista solo dal momento in cui si diventa persone consapevoli. Favoriamo un modello di televisione etica ed intelligente. Supportiamo le istituzioni pubbliche come scuole ed università che invece vengono costantemente prese di mira e screditate. Cominciamo a ricostruire una coscienza ed una memoria collettiva che ci permetta di creare nuovi modelli etici da seguire. Se il nostro desiderio è comunque diventare famosi, teniamo a mente che la celebrità non è solo quella degli applausi nell’arena, ma altresì essere ricordati con stima ed affetto, anche per secoli, per ciò che si è fatto.

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giovedì 6 maggio 2010

Avere un Nemico su cui Puntare il Dito

DI MARCO CANESTRARI

Nei paesi dove c'è un forte controllo la popolazione deve vivere sempre nella minaccia di un nemico su cui impara a puntare il dito.

Sei deve sempre delineare un nemico da cui differenziarsi (Invasori, Odio Razziale o Religioso, comunisti, capitalisti, terroristi, criminali, stupratori, disobbedienti, pessimisti, complottisti, manifestanti, fannulloni) - Si deve creare un nemico esterno “noi contro loro” che ci minaccia su cui impariamo a puntare il dito. Si propongono contrasti stridenti fra chi è membro e chi invece non si adatta ai modelli della dottrina o non ubbidisce alle leggi imposte. Il mondo viene così diviso fra “chi punta il dito” e chi “viene escluso”, solo il mondo interno al gruppo è “buono”, il resto è cattivo e minaccioso e va evitato e tenuto a bada. Se si vuole un certo grado di sicurezza, dalla reazione aggressiva del regime verso il nemico, è meglio rimanere negli schemi definiti e protetti dall’alto. L’atmosfera tesa che si crea suggerisce un solo modo di essere, per questo è molto importante vedere costantemente dei modelli da imitare.

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mercoledì 5 maggio 2010

Sperimentazione

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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L'esperienza è una cosa e sperimentare un'altra. L'esperienza è una barriera allo stato di sperimentazione. Per piacevole o orribile che sia, l'esperienza impedisce il fiorire della sperimentazione. L'esperienza è già nella rete del tempo, è già nel passato, è divenuta un ricordo che viene in vita soltanto come risposta al presente. La vita è il presente, non l'esperienza. Il peso e la forza dell'esperienza adombrano il presente, e così la sperimentazione diviene l'esperienza. La mente è l'esperienza, il noto, e non può mai essere nello stato di sperimentare; perché ciò che essa sperimenta è la continuazione dell'esperienza. La mente conosce soltanto la continuità e non può mai ricevere il nuovo finché esiste la sua continuità. Ciò che è continuo non può mai essere in istato di sperimentazione. L'esperienza non è il mezzo di sperimentare, la sperimentazione essendo uno stato senza esperienza. L'esperienza deve cessare perché la sperimentazione cominci.

La mente può invitare soltanto la sua propria proiezione, il cognito. Non può esservi sperimentazione dell'incognito se non quando la mente cessi di sperimentare. Il pensiero è l'espressione dell'esperienza; il pensiero è una reazione della memoria; finché intervenga il pensiero, non potrà esservi sperimentazione. Non vi sono mezzi, metodi per porre fine all'esperienza; perché gli stessi mezzi rappresentano un ostacolo allo sperimentare. Conoscere il fine è conoscere la continuità, e avere un mezzo per il fine è sostenere il cognito. Il desiderio di conseguire deve dissolversi; è questo desidero che crea i mezzi e il fine. L'umiltà è essenziale per la sperimentazione. Ma come la mente è sollecitata ad assorbire in esperienza la sperimentazione! Come è pronta a pensare al nuovo, facendolo così antico! In questo modo essa stabilisce lo sperimentatore e lo sperimentato, cosa che genera il conflitto della dualità.

Nello stato di sperimentazione, non c'è né lo sperimentatore né lo sperimentato. L'albero, il cane e la stella della sera non devono essere sperimentati dallo sperimentatore; essi sono il moto stesso della sperimentazione. Non c'è divario fra l'osservatore e l'osservato; il pensiero non ha tempo né intervallo spaziale per identificare se stesso. Il pensiero è del tutto assente, ma c'è esistenza. Questo stato di esistenza non può essere né pensato né meditato, non è cosa che si possa conseguire. Lo sperimentatore deve cessare di sperimentare, e soltanto allora c'è esistenza. Nella tranquillità del suo movimento essa è senza tempo.

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lunedì 3 maggio 2010

Repressione e Costruzione

DI ANTONELLA

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Le leggi esistono per garantire una società ordinata e giusta. Queste quindi hanno l'obiettivo di tendere alla giustizia e perseguire la pace sociale. Ormai siamo abituati a credere che per far funzionare una società d'individui occorrano delle regole. Vero. Le regole sono strumentali alla società, ossia sono strumenti a servizio della società per permetterle di vivere. Sono la sua struttura. In una società d'individui serve organizzazione, perciò ci regoliamo. Perché altrimenti non saremmo in grado di vivere in armonia. Tutto è regolato da leggi.

C'è, d'altra parte, chi asserisce che la giustizia non è di questo mondo. Molti si sentono sfiduciati e non hanno più la sicurezza delle regole che dovrebbero tutelarli. Quante volte abbiamo provato sdegno di fronte alla notizia della scarcerazione di soggetti che hanno compiuto reati particolarmente efferati e di grave allarme sociale. Quante volte abbiamo criticato la decisione di un giudice ritenendola troppo clemente. Questo avviene perché chi ha il potere, decide quali notizie trasmettere. Chi controlla le masse sa quali messaggi suscitano necessariamente paura e sfiducia. Ed ecco che allora molto spesso capita che le persone dinanzi a particolari fatti di rilevante interesse sociale si lamentino della mancanza di leggi efficienti invocando leggi più giuste. L'errore risiede nel pensare che da sole le regole bastino a risolvere le questioni, come se fossero una sorta di formula miracolosa in grado di risolvere qualsiasi problema. Come esse stesse fossero il problema. Questo perché si confonde la mancanza di etica, morale e buon senso per mancanza di regole anche quando queste ci sono e in gran numero. Viviamo tutti insieme, interagiamo più o meno, siamo esseri uguali eppure abbiamo bisogno di un testo che ci dica cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo fare. Una società armonizzata si basa su regole in armonia col tutto, che permettono agli individui di vivere pacificamente, cosicché tutti possano trarne benefici. Oggi le leggi non consentono ciò perché sono state delegittimate del loro ruolo di educatrici della società. Le regole nascono non più per servire la società ma per rendere la società servitrice.

Quando ci potrà essere la giusta armonia tra giustizia e leggi? Quando le norme verranno redatte non alla repressione ma alla costruzione allora saranno portatrici di alti valori che miglioreranno la vita degli individui perché saranno capaci di educare gli individui rendendoli consapevoli e coscienti.

L'unica vera legge è quella che conduce alla libertà,
altra legge non c'è - Il gabbiano Jonathan Livingston

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