giovedì 29 luglio 2010

Le Tecniche di Controllo delle Masse non hanno Bandiera Politica

DI MARCO CANESTRARI

Nei nostri corsi trattiamo una serie di tecniche legali volte ad influenzare, creare e stabilizzare le idee, le opinioni e le mode nei paesi democratici. Queste tecniche riguardano molto di più la sociologia e il marketing che non la politica.

Un leader che vuole controllare le masse nei paesi democratici non impone direttamente i modi di pensare, utilizza invece le passioni, gli istinti e le paure che già abbiamo in noi catturando la nostra attenzione su dei temi invece che su altri. Influenza così le masse, enfatizzando ed estremizzando dei comportamenti, mentre invece ne assopisce e trascura degli altri.

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lunedì 26 luglio 2010

Vivere Senza Sforzo

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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Per la maggior parte di noi, tutta la vita si basa su uno sforzo, su una forma o l'altra di volizione. Non riusciamo a concepire un'azione senza volizione, senza sforzo.

La nostra vita sociale, economica, e quella cosiddetta spirituale consistono in una serie di azioni finalizzate, che culminano sempre in certi risultati. E noi pensiamo dunque che uno sforzo sia essenziale, indispensabile. Ci si sforza di essere felici, ma la felicità non arriva mai. La gioia non si ottiene sopprimendo, controllando o soddisfacendo i desideri. Potete dare libero sfogo ai vostri desideri' ma alla fine resta l'amarezza. Innanzitutto dobbiamo essere liberi di percepire il fatto che la gioia e la felicità non si realizzano mediante uno sforzo. La creazione nasce dallo sforzo o piuttosto dalla cessazione dello sforzo? Quand'è che si scrive, si dipinge o si canta? Quand'è che si crea? Non c'è dubbio: quando non ci si sforza di farlo, quando si è completamente aperti, quando a tutti i livelli si è in comunicazione totale, completamente integrati. Solo allora c'è gioia e si può dunque cantare o comporre una poesia o dipingere o dare forma a qualcosa. Il momento della creazione non nasce dalla lotta. Ma cosa succede se non si fa alcuno sforzo per fuggire? Si vive con quella solitudine, quel vuoto; e nell'accettare il vuoto si scopre che ciò fa emergere uno stato creativo che non ha nulla a che fare con la lotta, con lo sforzo. Lo sforzo sussiste solo fin tanto che cerchiamo di evitare la solitudine, il vuoto interiore, ma quando ci soffermiamo a osservare tale solitudine, quando accettiamo ciò che è senza evitarlo, scopriamo che a quel punto si realizza uno stato dell'essere in cui ogni contrasto è pienamente acquietato, uno stato che è creatività, e non il risultato di una lotta. Quando si ha consapevolezza del vuoto senza alternative, senza condannare o giustificare, allora nella comprensione di ciò che è ecco realizzarsi l'azione, e tale azione è l'essere creativo. Se siete consapevoli dei processi del pensiero e del sentimento, vi accorgerete che c'è una costante battaglia in corso, uno sforzo per cambiare, per trasformare, per alterare ciò che è. E' questo lo sforzo per diventare qualcosa, e diventare qualcosa è un tentativo diretto di evitare ciò che è.

Attraverso l'autoconoscenza, attraverso la costante consapevolezza, scoprirete che la lotta, la battaglia, il conflitto del diventare, conducono al dolore, alla sofferenza e all'ignoranza. Solo se siete consapevoli della vostra inadeguatezza interiore e convivete con essa senza infingimenti, accettandola pienamente, scoprirete una straordinaria tranquillità, una tranquillità che non è costruita, artificiale, ma che accompagna la comprensione di ciò che è. Solo in quello stato di tranquillità c'è l'essere creativo.

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The Dreamer

DI JO

futuro

La mente umana funziona per scorciatoie e, sotto un qualsiasi tipo di impulso, va a ricercare i collegamenti nei frammenti di memoria in forma di ricordi visivi, uditivi, olfattivi, tattili e di gusto. Questo procedimento serve per far sì che si abbia sempre un quadro generico ma esaustivo di un determinato elemento. E' per questo motivo che leggendo la parola "città" molte persone assoceranno ricordi di caos, traffico, inquinamento, rumore, ecc. Senza voler adesso ribadire che che queste immagini evocano anche stress e sensazioni emotive tipiche di una società non più a misura d'uomo; vi scandalizzo dicendovi che tutto questo potrebbe diventare retaggio del passato?

Una nuova concezione di città è possibile, oltre che necessaria a mio avviso. Il punto di partenza fondamentale è anteporre il benessere collettivo, ossia di tutti, in primis del singolo, a quello individuale cioè solo del singolo a discapito della collettività, e quindi del singolo stesso. Il traffico urbano è determinato da una moltitudine di automobili occupate prevalentemente da una sola persona: un grandissimo spreco di spazio, tempo e risorse a cui ultimamente si è provato a trovare soluzioni, spesso innovative, ma mai definitive.

Adesso immaginate una città in cui non fosse possibile disporre di un veicolo privato. Avremmo comunque l'esigenza di muoverci e i mezzi pubblici non arrivano ovunque. Una nuova concezione di car sharing, auto in condivisione, si rende necessaria, ma dovrebbe soddisfare le esigenze di tutti e assorgere al rango di bene pubblico, con costi per l'utente molto ridotti. Sarebbe necessario ottimizzare tutti gli spostamenti ed evitare sprechi: pensate che la gran parte delle auto serve per muoversi da casa a lavoro e ritorno; le auto vengono quindi spostate da un luogo ad un altro creando traffico e ingombrando strade, visto che i parcheggi non riescono ad assorbire il numero dei veicoli. Per questo nuovo servizio tutto quello che servirebbe sono: una serie di grandi parcheggi sparsi nelle varie zone della città, un numero di veicoli pubblici di 5-6 volte inferiore a quello delle auto private, una connessione internet ed un sistema di comando satellitare GPS. L'utente da casa, tramite connessione internet, si rivolge ad un centralone ed invia la sua richiesta di percorso, sempre modificabile anche dall'auto o via telefono. Vengono specificati gli indirizzi di partenza, di arrivo e gli eventuali indirizzi intermedi di fermate brevi, gli orari degli spostamenti e il tempo di permanenza in un determinato luogo. Il cervellone calcolerà la disponibilità di auto e ne manderà una, tramite radio comando GPS, direttamente a casa vostra esattamente all'orario che avrete indicato. L'auto senza conducente vi porterà a lavoro, in palestra, al bar, a prendere i figli a scuola e ovunque desideriate. Per le soste brevi, come al bar, la "vostra" auto vi attenderà fuori, mentre per le soste lunghe, come durante il tempo di lavoro, tornerà nel parcheggio libero più vicino, o in quello che al momento dispone di un minor numero di vetture, per poter essere condivisa ed usata da altri utenti. Essendo le auto guidate dal GPS potrete dedicare il tempo dello spostamento alle vostre attività o semplicemente evitare di stressarvi nel traffico. Le auto si muoveranno a velocità controllate dal computer centrale che sono in grado di gestire incroci di traiettorie.

I mezzi sarebbero alimentati elettricamente e l'energia elettrica sarebbe ricavata dai pannelli fotovoltaici che coprono i garage delle stesse auto nei parcheggi delle città. Possono anche essere pensati diversi modelli di veicoli con dimensioni che variano in base al numero di persone che debbono essere trasportate: da un modello piccolo, per chi si sposta singolarmente, fino a giungere ad autobus che gestiscono i flussi di persone, ossia tutti quei lavoratori delle grandi aziende che verrebbero raccolti in un punto di incontro e poi tramite un percorso a tappe portati sul luogo di lavoro. Al loro rientro a casa il pullman li lascerebbe dove auto più piccole sono già pronte per portarli a casa. Il rischio stanchezza e il colpo di sonno non sarebbero più un problema. Il raggiungimento della maggiore età e le abilità al volante nemmeno. Non ci sarebbero incidenti per eccessi di velocità, per guida in stato di ebbrezza o per guida spericolata. Verrebbero dimenticate anche le disgrazie e le disattenzioni. La scomparsa degli incidenti cancellerebbe anche una serie di costi accessori per gli automobilisti, come ad esempio l'assicurazione. In caso di avaria il centralone, conoscendo esattamente la vostra posizione, vi invierebbe istantaneamente una nuova macchina. Dovrete dimenticare la spesa e i finanziamenti per l'acquisto di un veicolo do proprietà, stenterete a ricordare le condizioni di traffico e congestione nelle strade, potremmo finalmente fare qualcosa di grande ed utile in termini di lotta all'inquinamento, non esisterebbe il problema dei parcheggi, delle strisce blu e delle multe, non vedrete più gente afflitta da stress da traffico che sbraita in lingue incomprensibili mentre suona il clacson, non ci sarebbero più i ritardi. In cambio avremmo aria pulita, maggior tempo a disposizione, più spazio in città, un miglioramento delle condizioni di vita, niente rumore di motori e clacson, un generale allungamento della vita media ed una città eco compatibile e uomo compatibile.

Le tecnologie necessarie sono già tutte disponibili, basta applicarle nel giusto modo. L'unico reale ostacolo per questo mondo è il desiderio del possesso tipico dell'uomo, la smania della proprietà privata. Questo modello che ho proposto funziona senza intoppi ma non può coesistere con veicoli non gestiti dal GPS. Il centralone non sarebbe in grado di prevedere e calcolare le azioni umane.

You may say that I'm a dreamer, but I'm not the only one. I hope someday you'll join us and the world will be as one

 

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giovedì 22 luglio 2010

I Paesi più Felici del Mondo

DI MASSIMO ANGELUCCI

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Forbes ha pubblicato il risultato di una ricerca Gallup sui paesi più felici del mondo. I cinque Paesi più felici sono, secondo questa ricerca Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Paesi Bassi.

Si trovano tutti nell'area settentrionale del continente europeo e sono tutti molto ricchi. Questo sicuramente perché la felicità è legata alla ricchezza economica. Secondo Jim Harter, ricercatore della Gallup, ciò accade, probabilmente, perché i bisogni primari dei cittadini sono soddisfatti a un livello superiore rispetto a quanto avviene negli altri Paesi. Misurare la felicità non è facile. Tra il 2005 e il 2009, i ricercatori hanno proposto un questionario a migliaia di persone in 155 Paesi per misurare due tipi di benessere: innanzitutto, hanno posto agli intervistati domande su diversi argomenti per conoscere quanto fossero soddisfatti della loro vita, quindi hanno posto loro le stesse domande chiedendo di valutare il loro stato d'animo del giorno precedente per questi stessi argomenti. Le risposte ottenute hanno permesso di valutare "le esperienze quotidiane" degli intervistati, i soggetti che hanno dato punteggi elevati sono stati qualificati come "sereni". La percentuale degli individui sereni di ogni Paese ha determinato la posizione del Paese all'interno della classifica. E' evidente che i soldi fanno un certo tipo di felicità. La Danimarca, infatti,il Paese più felice del mondo, nel 2009 aveva un PIL pro capite di 27.000 euro. Questo dato è più alto di quello ottenuto da 196 dei 227 Paesi analizzati. Ma sono anche altri i fattori che determinano la felicità, la felicità di tutti i giorni è probabilmente collegata alla soddisfazione di altre esigenze psicologiche e sociali che è impossibile da comprare con un assegno o con una carta di credito. Infatti il Costa Rica è risultato essere il sesto Stato più felice del Mondo, il primo del continente americano, battendo altri Paesi più ricchi, compresi gli Stati Uniti. "Il Costa Rica ha ottenuto un punteggio molto alto per la serenità sociale e psicologica", spiega Harter. "Quasi sicuramente è una situazione comune in tutte quelle società in cui i rapporti umani sono più sviluppati e sono considerati importanti, più dei soldi. E L'Italia? E' al 69° posto, mentre la Spagna, che, a detta dei nostri media, vive povera, assillata dalla crisi e travolta dal tracollo finanziario è al 17° (la classifica è stata stilata prima del mondiale di calcio). Molte considerazioni si potrebbero fare su un tale tema, tutte legittime; tuttavia una cosa colpisce immediatamente di tale classifica. Tutti i Paesi che risultano primi nella graduatoria garantiscono e rispettano in modo prioritario la libertà individuale ed i diritti civili dei cittadini; non solo, ma applicano legislazioni molto tolleranti, garantendo sicurezza e libertà pur riducendo al minimo il peso di norme restrittive e divieti generalizzati. Il benessere economico è dunque importante, e tanto più lo sarebbe in un Paese che distribuisse più equamente le proprie risorse e combattesse meglio la corruzione diffusa ed il malgoverno ma i valori legati al rispetto della libertà ed della dignità umana rimangono la sola condizione imprescindibile per la realizzazione di ogni possibile condizione di felicità. La ricerca della felicità non è e non sarà mai un valore sociale, essa trova fondamento solo in quei diritti individuali ed in quelle aspirazioni spirituali proprie di ciascuna persona.

Il compito prioritario dello Stato rimane dunque quello di promuovere le condizioni sociali che possano favorire la realizzazione di tali diritti e di tali aspirazioni, limitando il più possibile la propria ingerenza nella sfera etica e spirituale dei cittadini. Questo l'avevano ben compreso i filosofi Illuministi.

FONTE: FORBES

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Gli Schiavi del 2000

DI VALERIO PASSERI

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La schiavitù è la condizione per cui un individuo rimane privo di tutti i diritti di persona libera e viene considerato come proprietà di un altro.

Fortunatamente, questo è un sistema sociale abolito in tutti i paesi che consideriamo civilizzati. Tutti noi viviamo in un paese dove libertà e democrazia sono garantiti dalla legge fondamentale, ci sentiamo quindi tutelati e per questo, sembrerebbe ridicolo parlare di schiavitù nel nostro secolo, analizziamo però la situazione attuale: Sicuramente nessuno può palesarsi davanti a noi ed ordinarci di svolgere un determinato lavoro, proprio perché tutelati dalla legge, siamo in grado di rifiutare. Prendiamo però in considerazione una situazione abbastanza verosimile nella vita comune di una persona media, cioè che la stessa persona citata sopra, ci propone un lavoro in cambio di denaro (anche se non molto), la differenza sta nel fatto che noi abbiamo un mutuo sulla casa e le rate della macchina da pagare. Ci sentiamo ancora così liberi di declinare l’offerta? Certo, senza dubbio ci è “permesso” di rispondere negativamente, ma nella realtà difficilmente lo faremmo perché abbiamo necessità di denaro, così, non solo siamo indirettamente costretti ad accettare, ma ringraziamo anche per il lavoro offertoci, quello che nell’esempio precedente era il nostro schiavista. Diventiamo così tutti schiavi per induzione di questo sistema economico, il senso della vita diventa il soldo. Viviamo per accumulare denaro che non basta mai e anche avendone a sufficienza per soddisfare i nostri bisogni primari, ce ne vengono indotti di secondari, ritrovandoci, senza bene rendercene conto, schiavi di rate e mutui per decenni. Spendiamo le nostre vite quindi, per guadagnare, lavoriamo 8 ore al giorno per 5-6 giorni la settimana, nel migliore dei casi, il che ci permette solo di avere del tempo per pagare le bollette e sistemare casa. Tuttavia siamo portati a ringraziare il cielo per il fatto di avere un lavoro. Se pensiamo alle nuove generazioni, nell’aria si percepisce che, l’ambizione comune, è quella di diventare ricchi, a chi importa più di scoprire, scrivere libri e poesie o andare sulla luna, se tutte queste cose non portano ad un guadagno? Questo anche perché il denaro è diventato il mezzo con cui si possono acquistare tutte quelle cose che non sappiamo più conquistarci da soli. Voglio fare sesso ma sono timido e non riesco ad approcciarmi? Basta pagare. Voglio dimagrire ma non ho voglia di fare sport? Basta pagare. Pagare, pagare, pagare. La moneta ora è la risposta più veloce ad ogni tipo di esigenza, si riesce sempre a trovare qualcuno che fa qualcosa al posto tuo, deleghiamo la nostra vita agli altri. E la risposta comune a questo fenomeno di cui tutti sono a conoscenza, ma nessuno sembra rendersene bene conto, è: “ Possibile che siamo tutti soggiogati e nessuno si ribelli?” . Silvano Agosti nel “tipico discorso dello schiavo” dice: “Il vero schiavo difende il suo padrone mica lo combatte. Perché lo schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede, quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà”. Dovremmo, a volte, solo ricordarci che la cosa più preziosa che abbiamo non è ne’ il denaro, ne’ la macchina di lusso, ma noi stessi, la nostra vita e quello che ne facciamo e che la nostra unica occupazione dovrebbe essere di occuparci della nostra felicità, che non si compra con dei fogli di carta.

Non lasciamoci mettere in catene, non prendiamo impegni economici a lungo termine (rate e mutui), teniamo a mente quali sono i nostri veri bisogni primari e prima di legarci con un qualsiasi tipo di contratto, domandiamoci se questo ci permetterà di avere tempo per coltivare noi stessi e la nostra vita ed anche che esso sia rescindibile, non solo legalmente, ma anche realmente, in qualsiasi momento noi vogliamo.

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mercoledì 21 luglio 2010

Lo Scopo dell'Educazione

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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Vi siete mai chiesti quale sia il senso dell'educazione? Perché andiamo a scuola, perché impariamo varie materie, perché facciamo esami e gareggiamo fra di noi per avere i voti migliori? Qual è il significato della cosiddetta educazione, qual è la sua vera funzione?

Si tratta di un interrogativo realmente importante, non solo per gli studenti, ma anche per i genitori, per gli insegnanti e per chiunque ami questo nostro pianeta. Perché affrontiamo la lotta che il ricevere un'educazione comporta? E' semplicemente allo scopo di superare qualche esame e trovare lavoro? Oppure la funzione dell'educazione è di prepararci, quando siamo giovani, a comprendere il processo della vita nella sua interezza? Avere un lavoro e guadagnarsi da vivere è necessario - ma è davvero tutto lì? E' solo per quello che veniamo educati? Di certo la vita non è fatta soltanto di un lavoro, di un'occupazione. La vita è qualcosa di straordinariamente ampio e profondo, è un grande mistero, un vasto regno in cui agiamo in quanto esseri umani. Dunque, in quanto insegnanti o allievi, non è importante domandarci perché educhiamo o veniamo educati? E qual è il significato della vita? Non è forse la vita una cosa straordinaria? Gli uccelli, i fiori, gli alberi in fiore, il cielo, le stelle, i fiumi e i pesci che ci vivono - tutto questo è vita. La vita sono i poveri e i ricchi; la vita è la perenne battaglia fra gruppi, razze e nazioni; la vita è meditazione; la vita è ciò che chiamiamo religione, ed è anche gli aspetti inafferrabili, nascosti, della mente - le invidie, le ambizioni, le passioni, le paure, le gratificazioni, le angosce. La vita è tutto questo e molto di più. Ma di solito ci prepariamo a comprenderne solo una piccola porzione.

Certamente l'educazione non ha senso a meno che non vi aiuti a comprendere la vastità della vita in tutte le sue sfumature, con la sua straordinaria bellezza, i suoi dolori e le sue gioie. Potete avere lauree e titoli accademici, e trovare un ottimo lavoro; e poi? A che serve tutto questo se strada facendo la vostra mente si offusca, si logora, si instupidisce? Non dovreste cercare di scoprire il senso della vita adesso che siete giovani? E non è forse quella la vera funzione dell'educazione, ossia di coltivare in voi l'intelligenza che cercherà di trovare la risposta a tutti questi problemi? Sapete cos'è l'intelligenza? E' la capacità di pensare liberamente, senza paure, senza formule, che ci permette di cominciare a scoprire autonomamente ciò che è reale, ciò che è vero; ma se siete spaventati, non sarete mai intelligenti. Qualunque forma di ambizione, spirituale o terrena, alimenta l'ansia, la paura; ecco perché l'ambizione non aiuta a far sviluppare una mente che sia chiara, semplice, diretta, e quindi intelligente. Sapete, è molto importante, quando si è giovani, vivere in un ambiente dove non alligni la paura. Andando avanti con gli anni, la maggior parte di noi diventa sempre più timorosa: abbiamo paura di vivere, paura di perdere il lavoro, paura della tradizione, paura di ciò che i vicini o il proprio coniuge diranno, paura della morte. La maggior parte di noi ha paura, in una forma o nell'altra; e dove è presente la paura, non c'è intelligenza. E non è forse possibile per tutti, da giovani, vivere in un ambiente dove non si respiri la paura, bensì la libertà - libertà non di fare ciò che si vuole, ma di comprendere il processo del vivere nella sua interezza? La vita è in realtà bellissima, non è quella brutta cosa a cui noi l'abbiamo ridotta; e se ne può apprezzare la ricchezza, la profondità, la straordinaria bellezza solo quando ci si ribella contro tutto - contro la religione organizzata, contro la tradizione, contro il marcio della società attuale - scoprendo autonomamente, in quanto singoli esseri umani, ciò che è vero. Non imitazione, ma scoperta: è questa l'educazione, non è così? E' molto facile adeguarsi a ciò che la società o i genitori o gli insegnanti vi dicono. E' un modo sicuro e facile di esistere; ma non è vivere, perché in esso si annidano la paura, la decadenza, la morte.

Vivere vuol dire scoprire autonomamente ciò che è vero, e questo è possibile soltanto quando si è liberi, quando è in atto una continua rivoluzione interiore.

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martedì 20 luglio 2010

L'Assenza di Responsabilità Personale

DI ENRICO GALAVOTTI

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In assenza di autogestione, la democrazia resta formale anche quando, dopo una crisi di governo, si verifica l'alternanza nella guida di un Paese. Una democrazia delegata che non prevede quella diretta rappresenta solo una gestione elitaria del potere, soggetta continuamente al pendolo fra anarchia e dittatura. Infatti, quando l'aristocrazia politica s'accorge che i suoi metodi non garantiscono ai gruppi oligarchici la necessaria stabilità economica, ecco che scatta l'esigenza di cercare "l'uomo della Provvidenza".

Quando la democrazia parlamentare è in crisi, perché i soggetti politici si sono dimostrati incapaci di governare e non godono più alcuna fiducia da parte degli elettori, è facile che qualche gruppo parlamentare inizi a rivendicare un rapporto diretto con le masse (magari in questo viene sollecitato da altri gruppi o movimenti extraparlamentari). Improvvisamente la democrazia tende ad assumere un atteggiamento ambivalente: facendo ricorso, specie attraverso i media, all'istintività delle masse (populismo), essa mira a cercare una legittimazione dell'autoritarismo al di fuori dell'ambito meramente parlamentare. L'obiettivo è soltanto quello di rafforzare l'esecutivo, le funzioni monocratiche del governo o di affermare addirittura un personalismo presidenziale. Fra la democrazia delegata e l'anarchia è dunque difficile dire cosa sia meglio, poiché la prima si trasforma facilmente in un arbitrio legalizzato ("di Stato"), patrimonio di pochi: il che può comportare conseguenze più nefaste dell'arbitrio dei singoli cittadini.

Non è forse singolare che nei Paesi a democrazia delegata ci si appelli al principio della "responsabilità personale" solo quando si tratta di punire il cittadino per aver compiuto un'azione illegale? "Positivamente" la responsabilità personale, in una democrazia delegata, non appartiene a nessuno: a chi comanda infatti spetta il privilegio dell'arbitrio, a chi ubbidisce il dovere di sottostarvi. Per i governi delle democrazie delegate un esempio di cittadino modello è quello che obbedisce alle leggi dello Stato e paga le tasse, cioè obbedisce a leggi e tasse che "altri" gli hanno imposto, senza chiedergli alcun parere. Il massimo della democrazia diretta, in questi Paesi, è rappresentato dall'esercizio del referendum popolare, cioè dalla possibilità (piuttosto lenta e macchinosa) di abolire una legge già in vigore.

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lunedì 19 luglio 2010

Sardegna da Scoprire

DI JO

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Di ritorno da una breve esperienza in Sardegna, mentre ancora sogno i paesaggi e il ritmo vacanziero, non riesco a non riflettere su alcune considerazioni. Sardegna, terra da scoprire! Se solo fosse possibile...

Non è una novità che stiamo parlando di una delle più belle, affascinanti e complete regioni d'Italia, oltre che di una delle più particolari: che si tratti di paesaggi, di specie faunistiche o della flora, oltre che in ambito sociologico e antropologico si trovano differenze, anomalie e unicità dell'isola in relazione al resto d'Italia. Negli anni '60 uno sceicco arabo di passaggio con il suo yacht nelle vicinanze del litorale nord orientale della Sardegna si accorse della incredibile bellezza di quelle zone e diede loro il nome Costa Smeralda per esaltare il particolare colore dell'acqua. Decise così di rendere possibile il sogno di vivere in quelle zone che all'epoca erano ancora disabitate e incontaminate dando vita al Consorzio Costa Smeralda e costruendo bellissimi villini e villaggi attrezzati che fossero ben inglobati dal contesto naturalistico circostante. Nei successivi 50 anni questo processo è andata avanti, molto avanti... Oggi l'inghippo è palese: di fatto la Costa Smeralda, ed anche altre zone della Sardegna come la Costa Paradiso, sono interamente coperte da aree residenziali lussuosissime e carissime che, in nome dell'esclusività, sono state vendute a facoltosi villeggianti di tutto il mondo. Il risultato è che è diventato impossibile per i turisti "comuni" e per i sardi stessi accedere in quelle zone sia perché economicamente non sono alla portata delle tasche di tutti, sia perché di fatto non esiste più spazio pubblico: nulla è a disposizione se non previo pagamento! Quello che si nota è un paradosso emblematico: esistono due realtà che cozzano profondamente tra loro... In una regione nei cui paesini dell'entroterra si trovano ancora le case con le porte aperte e le chiavi attaccate alla serratura sul lato della strada, nelle zone dei V.I.P. si vedono solo alte mura, cancellate, telecamere puntate ovunque, una sensibile presenza delle forze dell'ordine che vigilano sui possedimenti dei benestanti privati ed una lunga lista di auto ed imbarcazioni che raggiungono cifre difficili anche da scrivere visto il numero di zeri da cui sono composte. Il turista che si muove lungo la Costa Smeralda non riesce a vedere il mare se non quando sale sulle montagne limitrofe. Ci si ritrova tra sbarre che impediscono l'accesso a determinate zone e mura alte che cingono le case-fortezza. Ci si sente ospiti non graditi, quasi di disturbo...

Non è possibile scoprire la Sardegna, almeno non tutta, perché non è possibile l'accesso. Ma, una cosa grave da capire adesso è che il processo di privatizzazione di quella regione continua imperterrito e insaziabile. Non si limita alle zone da me citate, ma si estende a macchia di leopardo per tutta l'isola nella costante lotta per accaparrarsi il miglior panorama, la più bella spiaggia e fino alla più particolare roccia scolpita dal vento. Sono molte le componenti che io non riesco a comprendere di questa follia del desiderio del possesso, ma in particolare rimango sgomento nel rendermi conto che quando una bellezza naturale è libera allora essa è di tutti e tutti possono goderne, ma nel momento in cui viene privatizzata e contornata da recinzioni si effettua un profondo attacco nei confronti dell'umanità stessa e si creano profonde disuguaglianza che ledono la dignità umana. Mi spiego: una persona facoltosa avrà sicuramente un'auto più grande, una casa più lussuosa e dei vestiti di miglior fattura rispetto ad un'altra persona meno abbiente, e fin qui nessun problema, ma la differenza di classe diviene spropositata quando a causa della disparità di risorse la possibilità di godere della bellezze naturali o di fare il bagno in una determinata spiaggia diviene esclusiva di una sola classe sociale. Gli altri non sono forse ugualmente degni di vedere e comprendere lo sforzo della natura? oppure potrebbero rendersi conto di quanto l'uomo si sforzi per distruggerla? Ma queste considerazioni non vengono mosse così facilmente. Tutto è progettato in modo che, trovandosi di fronte a quanto vi sto raccontando, le emozioni che vengono suscitate sono quelle dell'invidia... della gelosia. Ci si trova a sospirare dicendo: beati loro!... quando invece dovremmo essere profondamente scossi e interdetti... In nome dell'esclusività e del turismo esigente, come viene chiamato, tutto in quelle aree pregiate ha un costo di gran lunga più elevato rispetto alle altre zone. Questo sia per ribadire il concetto che non si tratta di cose adatte a tutti e sia per dar forza al comune pensare che costoso sia sinonimo di qualità. Per questi motivi, forse, di tanto in tanto viene permesso che qualche zona sia comunque di pubblico accesso... ma solo dopo previo e cospicuo pagamento. Bisogna pagare il parcheggio, poi l'ingresso, poi l'accesso, poi l'usufrutto e via dicendo... ma tutti questi costi cornice non sono forse per l'esigenza dei sardi che cercano di guadagnare qualcosa dall'invasione degli euro portatori? Questa opzione sarebbe almeno comprensibile, ma non ha supporto: spesso le società che gestiscono questi flussi di denaro sono private, e non sarde, oppure comunali. Per farla breve di autoctono c'è solo la manovalanza. Eppure, stando alle norme di diritto tutto, ciò che è compreso nei confini territoriali è di proprietà statale e, sempre stando al diritto, lo Stato è un emanazione del popolo che ne è sovrano. Un semplice sillogismo socratiano porta dunque all'affermazione che tutto ciò che è compreso nei confini territoriali è del popolo... Ma così non è. Lo stato può vendere a privati senza nemmeno chiedere consenso ai legittimi proprietari. La nostra terra viene lottizzata, divisa, impacchettata e venduta. Noi veniamo a conoscenza di questo scempio solo a cose fatte e, ma non è questo il punto centrale, nemmeno veniamo risarciti. E' chiaro che dal momento che prendiamo coscienza del fatto che una parte dei territori venduti sono nostri ci aspetteremmo anche una parte degli introiti, ma non esiste cifra che possa ripagare il danno. Non esiste una distesa di euro che abbia il valore di una cala in Sardegna! Nei soldi non si fa il bagno; davanti ai soldi non si rimane in contemplazione come succede davanti alle sculture naturali: gonfi di emozioni, con le palpitazioni, mentre si ansima e ci si sente in simbiosi con il nostro pianeta.

Rimango perplesso. Possiamo fare ancora qualcosa per bloccare tutto ciò, per rallentarlo almeno. Dobbiamo alzare la voce e dire che non ci piace, che non va bene, non siamo d'accordo. Porre la questione a tutti e rendere il problema caro ad ognuno di noi. Decidere con più cura per chi votare e costringere i nostri amministratori a trattare diversamente questi argomenti. Ci stanno rubando una cosa che ci appartiene, la natura ha fatto a noi dono di alcune bellezze che ci vengono sottratte indebitamente. I sardi non possono non vedere e far finta di nulla, noi tutti dobbiamo essere stizziti da quanto accade

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mercoledì 14 luglio 2010

Come si Controllano le Masse nei Paesi Democratici

DI MARCO CANESTRARI

Come si possono controllare le masse nei paesi democratici dove i cittadini possono esprimersi  liberamente con il voto?

Molti sanno che la televisione influenza le persone, ma quanti sanno in che modo lo fa?  Spesso si sente dire: “La televisione in Italia è spazzatura”, oppure: “gli italiani sono un popolo di superficiali”, ma cosa c’è dietro?

Queste tecniche non hanno nessuna connotazione ideologica, i principi di base sono stati utilizzati da ogni tipo di regime, di sinistra e di destra. Troviamo dinamiche simili anche nelle sette a controllo mentale o in molte aziende con forte gerarchia.

Per assistere alla lezione sul controllo masse nella tua scuola, basta che ci fornisci il contatto di un rappresentante d'istituto o di un professore interessato. Se ritieni utile la diffusione di queste conoscenze, puoi contribuire portando il corso nel tuo gruppo, nella tua associazione, o in un evento pubblico della tua città.

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello migliore che renda la realtà obsoleta.

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Ecologia Mentale

DI REBOOT

ecologia

L’ecologia è un tema che mi sta molto a cuore. Per questo mi fa male vederlo spesso trattato in maniera riduttiva e abusiva. La macchina propagandistica è attivissima anche in tema di ecologia e ambiente. Si investono miliardi per renderci difficile capire la verità degli eventi e diffondere un senso d’impotenza e di paura che spesso sfociano nella negazione del problema e nel disinteresse.

“Green” è solo la strategia di marketing del momento, inventata per vendere cose vecchie come se fossero nuove. Il consumo etico, gli imballaggi biodegradabili, le lampadine a risparmio energetico sono un modo facile e veloce per illuderci di avere la coscienza pulita. E’ l’illusione di nuova economia, un’economia più accettabile e contemporanea, a essere in vendita. Per il resto è “business as usual”. Con un po’ di makeup e una buona agenzia di PR, il nostro modello di produzione e consumo è più libero di prima di compiere i più gravi disastri ambientali e le peggiori nefandezze umane. Questo anche grazie ad un sistema giuridico e un sistema politico compiacenti, ma soprattutto grazie a un sistema culturale totalmente connivente. Agire solo sulla tutela dell’ambiente sperando di ottenere risultati duraturi è un’illusione. E’ il sistema di connivenze in sé che va ricucito, messo in discussione e modificato, non una sua parte. Se s’imbarca acqua, è utile darsi da fare per buttarla fuoribordo con un secchio, ma se non ci da anche da fare per riparare la falla, ci sono ben poche speranze di rimanere a galla.

Sono le fondamenta del sistema etico-culturale in cui siamo nati che dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione e riparare. Sono le nostre credenze di base, le nostre abitudini e le nostre consuetudini. E’ l’idea che abbiamo di noi stessi che dobbiamo ripensare. Cambiare, vuol dire mettere in discussione tutto il nostro essere. Il processo di trasformazione di mentalità inizia dal singolo e, come un virus, si diffonde poi all'intera popolazione. Solo se questo processo avrà luogo, un bel giorno, studiosi e amanti della natura, scopriranno che il loro scopo coincide esattamente con quello di studiosi e amanti della salute, della libertà, della giustizia e della bellezza. E se questo processo non avverrà, saranno una lunga serie di brutti giorni per tutti. L’unica possibilità che abbiamo per vivere in un posto ospitale è che le nostre idee, come una corrente elettrica, a un certo punto generino un’esigenza così urgente e diffusa da cambiare leggi e istituzioni. Fino a che non sapremo in grado d’immaginare una civiltà diversa, non cambierà mai niente, se non a livello superficiale.

Non facciamoci distrarre. Cerchiamo d’identificare e tenere presente la radice del problema, le relazioni di causalità, le priorità e le responsabilità. Partendo dalle nostre. Il primo passo da fare quindi, non è verso né contro qualcosa o qualcuno. E’ un passo indietro, per poter valutare il quadro d'insieme, e riconoscere la migliore direzione verso cui dirigere le nostre energie.

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lunedì 12 luglio 2010

Sulla Credenza

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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Credenza e conoscenza sono legate molto intimamente al desiderio e, forse, se riusciamo a comprendere questi due fattori, possiamo percepire il funzionamento del desiderio e capirne le complessità.

Una delle cose - mi sembra - che la maggior parte di noi è pronta ad accettare senza discutere è la questione delle credenze. Non intendo attaccare le credenze. Ciò che stiamo cercando di fare è di scoprire perché accettiamo questa o quella credenza; e se riusciamo a comprendere le motivazioni, le cause di tale accettazione, allora forse potremo essere capaci non solo di capire il perché, ma anche di liberarcene. È facile vedere come le credenze politiche, religiose, nazionalistiche o di altro tipo dividano la gente, creando conflitto, confusione e antagonismo - è un fatto palese, eppure siamo riluttanti ad abbandonarle. C'è la fede indù, la fede cristiana, quella musulmana, quella buddista, ci sono le innumerevoli credenze settarie e nazionali, le varie ideologie politiche, tutte in competizione reciproca, ognuna che cerca di prevalere sulle altre. Balza agli occhi il fatto che le credenze dividono la gente, creando intolleranza; ma è possibile vivere senza credere in qualcosa? Lo si può scoprire soltanto riuscendo a studiare se stessi in rapporto a una credenza. È davvero possibile vivere in questo mondo senza credere in qualcosa - non mutare convinzioni, non sostituire una credenza all'altra, ma essere, davvero, interamente liberi da qualunque credenza, in modo da andare incontro alla vita come se fosse sempre, in ogni momento, nuova? Dopo tutto, questa è la verità: avere la capacità di accostarsi a ogni cosa come se fosse la prima volta, attimo per attimo, senza i condizionamenti del passato, di modo che non ci sia quell'effetto cumulativo che agisce come barriera fra se stessi e ciò che è.

Se si riflette, ci si accorge che una delle cause del desiderio di accettare una credenza è la paura. Cosa ci accadrebbe se non credessimo in nulla? Non dovremmo temere quel che potrebbe succederci? Se non avessimo alcun modello d'azione fondato su una credenza - in dio, o nel comunismo, o nel socialismo, o nel libero mercato, o nella democrazia, o in qualche tipo di formula religiosa, di dogma che ci condiziona, non potremmo fare a meno di sentirci completamente smarriti, non è così? E l'accettazione di una credenza non è, in definitiva, proprio questo: un modo di mettere a tacere quella paura, la paura di non esser nulla, di essere vuoti? Dopo tutto, però, una tazza è utile soltanto quando è vuota; e una mente piena di credenze, di dogmi, di asserzioni, di citazioni, non è certo una mente creativa, è semplicemente ripetitiva. Sfuggire a quella paura - la paura del vuoto, la paura della solitudine, la paura del ristagno, la paura di non arrivare, di non riuscire, di non ottenere qualcosa, di non essere qualcosa, di non diventare qualcosa - è certamente una delle ragioni per cui aderiamo alle varie credenze con tanto entusiasmo, con avidità. E attraverso l'accettazione di una credenza, comprendiamo forse meglio noi stessi? Al contrario. Una credenza, religiosa o politica, ostacola ovviamente la comprensione di noi stessi. Agisce come uno schermo attraverso cui ci guardiamo.

Ma è possibile guardarsi senza tale schermo? Se si rimuovono quelle credenze, le tante credenze che ognuno di noi ha, rimane qualcosa da guardare? Se non c'è più alcuna credenza con cui la mente si identifichi, allora la mente, priva di identificazione, è capace di guardare a se stessa così com'è: e a quel punto, sicuramente, si ha un primo barlume di comprensione di sé.

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domenica 11 luglio 2010

Criticare Humanum Est

DI VALERIO PASSERI

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Confrontarsi a voce o via web su temi di attualità non sempre è facile, molto spesso ci troviamo di fronte a persone che alla fine di un lungo confronto, concludono il dialogo con la tipica frase: “Per me è così”. Altre volte, ci si trova dinnanzi ad individui che conoscono il problema ed hanno una loro soluzione che credono ineccepibile, altri ancora non ragionano nemmeno sulla questione ed attaccano chi l’ha sollevata e che magari ha proposto anche una piccola possibile soluzione, accusandolo per lo più di predicare bene e razzolare male.

Questi tre modi di porsi dinnanzi ad una discussione appaiono molto diversi, ma sono accumunati da un aspetto comune, la chiusura mentale. Il confronto è in assoluto fondamentale per la risoluzione di una problematica, quanto per la crescita mentale di un individuo che però deve saper ascoltare le opinioni contrastanti che gli vengono proposte. La democrazia è garantita, o dovrebbe esserlo, da questo aperto scambio di idee, anche se diametralmente opposte, dal quale deve emergere la soluzione più consona e giusta per il maggior numero di persone. La società certamente non favorisce questo tipo di pensiero, abbiamo continui esempi, specie in politica, di come questo libero scambio di riflessioni possa essere fermato tramite la ridicolizzazione dell’”avversario” che deve sentirsi inadeguato a dare un parere discordante rispetto alla maggioranza e l’attacco personale che sposta l’attenzione dal problema alla vita privata di chi lo ha sollevato. Quando però in un paese si arriva ad accettare una sola ideologia o un solo pensiero senza che ci siano pareri discordanti in grado di farsi sentire, allora non si è più in una democrazia. Chiunque, anche sentendosi completamente nel giusto dovrebbe essere in grado di mettersi in discussione e soprattutto essere aperto e disponibile a cambiare le proprie idee. Chi invece saccentemente critica gli altri per l’andamento del proprio paese, dovrebbe rendersi conto che da soli non si può cambiare il sistema e nemmeno estraniarsene, vivendo all’interno di esso se ne viene inevitabilmente influenzati; Ad esempio un individuo può decidere di non avere nulla a che fare con le banche, ma non può fare a meno di utilizzare il denaro che esse stampano. Per questo motivo è necessario non isolarsi dagli altri guardandoli da lontano e tenendo per se le proprie esperienze e le proprie verità, come un bambino con il proprio giocattolo, ma renderle parte del sapere comune, a disposizione di tutti.

Se un cambiamento è possibile esso deve giungere dal basso e perché ciò avvenga ognuno di noi deve essere consapevole e aprire la mente a 360 gradi per poi decidere cosa è più giusto per se, per cui è essenziale garantire ed incoraggiare l’esposizione di ogni tipo di pensiero anche e soprattutto se diverso dal nostro, essere costruttivi e non insultare o ridicolizzare chi per noi ha torto.

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venerdì 9 luglio 2010

Limitare la Visione d'Insieme

DI MARCO CANESTRARI

Per Controllare le masse, la popolazione non deve avere gli strumenti necessari per capire cosa succede, per trovare una soluzione d'insieme, per aggregarsi, per organizzarsi e per arrivare a coordinare delle grandi risorse volte a risolvere un problema comune.

Uno dei punti centrali è che il singolo non deve essere facilitato ad avere una visione d'insieme su quelle che sono le opinioni, le reazioni e le sensazioni del paese. Ogni idea viene ridotta a gusto personale e il sentore comune diventa quello proposto da chi influenza i media.

· LIMITARE LE ESPRESSIONI COLLETTIVE – Si limitano le espressione collettive libere, come ad esempio le manifestazioni pubbliche, gli scioperi, le attività sindacali, la rete e qualsiasi strumento diffusione di massa che possa produrre alla lunga un riferimento diverso da quello del regime. Le iniziative libere dei cittadini non hanno possibilità di essere conosciute né di aggregarsi facilmente su larga scala, non possono cioè ottenere consensi ampi e quindi produrre dei cambiamenti.

· LE FONTI LIBERE NON SONO CERTE (Esiste solo il Gusto Personale) - Quando il singolo si vuole domandare qualcosa che va fuori dal campo proposto dal regime, nel suo ragionamento per arrivare ad una conclusione, viene a mancare qualsiasi fonte di conferma o di prova a sostegno della sua tesi, così ogni idea che vorrebbe nascere diversa da quella del modello imposto dal leader, cresce piena di dubbi e senza nessun riferimento accertato, nessuna riprova sociale, nessuna conferma autorevolmente accettata. La ricerca di informazioni libere richiede sempre più sforzo, tempo e capacità, e viene sempre più frenata, mentre le informazioni impacchettate dalla tv vengono continuamente e piacevolmente diffuse in massa.

· RINUNCIARE AI PENSIERI FUORI DAL CORO - L’individuo rimane completamente isolato nel suo processo decisionale di dissenso dal regime, senza fonti né conferme, e spesso quindi rinuncia ad arrivare ad una conclusione personale. In questo limbo di confusione e smarrimento, senza appigli definitivi, è molto più facile distrarsi e occuparsi di discussioni futili e meno stressanti. Di fronte all’impossibilità di reagire fuori dal coro si verificano reazioni di alienazione, frustrazione e stress, fino alla rassegnazione e la passività. L’intelletto individuale viene messo in letargo e la vita diventa tutta un sentito dire comune.

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mercoledì 7 luglio 2010

Logiche Perverse

DI JO

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Abbiamo impiegato tutta l'esistenza umana per creare la società moderna. Un complesso organismo che dovrebbe rappresentare il nostro massimo possibile, il bene supremo. Mi chiedo se sia davvero così.

La contemporaneità permette all'essere umano di vivere molto più di prima, grazie ai progressi tecnologico-scientifici e alla capacità di adattamento della nostra specie, ma viviamo meglio? Per rispondere non bisogna affrettarsi: la risposta non è univoca. In effetti rispetto ai nostri avi possiamo godere di molteplici comodità, ma a che pro? La nostra condizione vitale è ai limiti della sopravvivenza, siamo tesi come corde di violino e il nostro pianeta sembra essersi stufato di questa scomoda presenza, di questi parassiti chiamati uomini. Lo dimostra mandando continui segnali di intolleranza. Il problema in realtà non siamo noi, in quanto esseri umani, ma solo alcune delle nostre "migliorie". Nella fattispecie una: il denaro. Tutto quello che l'uomo fa si può riassumere nel produrre denaro e cercare di continuo di aumentarne la quantità. Lo facciamo ad ogni costo, che ci sia di mezzo il pianeta, un popolo povero di cui nessuno conosce il nome o perfino la nostra propria salute e vita. I paesi più ricchi sono anche quelli con il maggior numero di omicidi e, dato ancor più terrificante, suicidi. In Lussemburgo ad esempio un operatore ecologico (spazzino) guadagna 2000 euro al mese, e il piccolo stato è tra i più ricchi del pianeta. Di contro c'è da dire che non ha più un'identità nazionale, non esistono più lussemburghesi o prodotti tipici, tutto è importato e globalizzato. Un altro primato del paese è il tasso annuo di suicidi, in concorrenza con Svezia e Giappone... altri leader economici. Riflettiamo: oltre ai dati sui suicidi tutte le brutture prodotte dall'uomo sono associate alla volontà di accaparrarsi in modo rapido e veloce ingenti somme di capitali: speculazioni, mafie, traffici illegali (che siano di prostituzione, di organi, di bambini, di rifiuti tossici, di armi), corruzione, ecc. Tutto fa fede al Dio-denaro. Le logiche del profitto sono perverse e pericolose. Porteranno questo pianeta al collasso molto prima del dovuto e distruggeranno ogni forma di vita, la nostra compresa.

La soluzione però è sotto i nostri occhi: l'uscita dal sistema monetario. Sembrerà un'assurda eresia eppure è semplicissimo. Se l'uomo ha creato il denaro, allora lo può eliminare. Tutto quello che ci circonda non è fatto di soldi, ma ha prodotto soldi, monete che non hanno alcun valore se non quello che noi attribuiamo loro. Basterebbe quindi convertire il valore monetario in valori di altro tipo come ad esempio la vivibilità del pianeta Terra. In cambio del proprio lavoro ogni singola persona avrebbe diritto a vivere bene con tutti i confort di cui necessita e senza differenze di classi. Eguaglianza e reciprocità nel rispetto di quanto abbiamo di più prezioso: la nostra esistenza.

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martedì 6 luglio 2010

La Politica Comincia da Te

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Accade spesso che di fronte alle notizie politiche fornite dai media si finisca col provare rabbia, tristezza, rassegnazione. Alla lunga queste sensazioni portano la maggior parte delle persone ad allontanarsi dalla politica e chiudersi in una disillusione controproducente che non fa altro che alimentare ancor di più il potere di chi controlla.

Abbiamo già visto come il disinteresse e il sentimento della rassegnazione siano molto incentivati da un leader che vuole controllare le masse. L’allontanamento del singolo dalla politica concreta deve essere un importante stendardo da portare con dedizione. Bisogna far discutere l’unica parte della massa che si interessa di politica riguardo a temi sui quali il singolo non può in alcun modo influire. Tutti quegli argomenti che riguardano invece la politica locale e la gestione della dimensione del “vicinato” sono tenuti in sordina e vengono fatti insorgere, comunque sempre sottovoce, solo al momento delle elezioni amministrative. Diviene così retaggio comune, influenzato dai media, tra coloro che si pensano attivisti, il voler cambiare ciò che si vede in televisione, ignorando ciò che si può osservare dalla propria finestra. Non è rivolgendo l’attenzione nei confronti delle tematiche proposte dai palinsesti nazionali che si cambia il sistema politico. E’ a livello locale che va iniziata la ricostruzione. La politica è una piramide, per cambiarla bisogna partire dalla base e non dal vertice. Informatevi, interessatevi, muovetevi, prendete contatto con i vostri rappresentanti, candidatevi, fatevi protagonisti e non spettatori delle sorti della vostra città. Se a livello locale cambiano i rappresentanti, mano mano il cambiamento ingloberà tutti i livelli, fino al più alto. Solo allora la politica potrà ricominciare a definirsi tale e rincorrere una dimensione più umana e rispettosa. Cambiamo i verbi della nostra azione politica: proporre invece di reagire, fare anzi che suggerire. La politica sei tu, se non cambi tu, non cambierà mai nulla!

Se tu non ti occupi di politica
la politica si occupa comunque di te

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domenica 4 luglio 2010

La Democrazia Formale

DI ENRICO GALAVOTTI

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Nella nostra società la democrazia è formale perché viene esercitata da poche persone elette in Parlamento o in altre istituzioni di potere, ove il vero potere democratico, quello popolare, è stato delegato a dei rappresentanti che non rendono conto di quello che fanno e che, in ogni caso, hanno la facoltà di fare quasi quello che vogliono per tutta la durata del loro mandato. Persino la Costituzione afferma che di fronte al popolo il Parlamento non ha "vincolo di mandato"(art. 67). Nessuno può contestare una decisione presa dal Parlamento. Nessuno può perseguire legalmente un parlamentare o un partito che disattendano il proprio programma elettorale. Tale articolo è inoltre la giustificazione al fatto che ai parlamentari non possa essere revocato il mandato.

Il concetto di democrazia viene usato in maniera strumentale perché per i politici il consenso non ha un valore in sé, ma solo in funzione della loro elezione. Questo è molto più vero per il voto politico-parlamentare che non per quello amministrativo-locale. Il fatto di dover esercitare la delega nella capitale è indubbiamente, per il politico, un incentivo a deresponsabilizzarsi. Quanto più egli si allontana dall'ambiente che lo ha eletto, tanto più sarà soggetto a corruzione. In tal senso si può dire che la democrazia delegata fine a se stessa non è che una delle maschere della moderna dittatura, pronta a essere tolta in caso di necessità. Le parole che escono da tale maschera: progresso, pluralismo, diritti, libertà, democrazia…, sono il pane quotidiano con cui si cerca d'ingannare la buona fede della gente comune. Se i potentati politico-economici avessero a che fare con gente ignorante e spoliticizzata, probabilmente userebbero meno artifici retorici (come in genere accade nei paesi del Terzo Mondo).

Questo per dire che gli abusi compiuti dai politici generalmente non dipendono da motivazioni di carattere personale (si troveranno sempre persone più o meno disposte alla corruzione o alla concussione), ma dipendono proprio dal fatto che il sistema politico è strutturato in modo tale ch'essi non potrebbero comportarsi diversamente. Un eletto che sostituisce in Parlamento un eletto corrotto, prima o poi sarà anch'egli soggetto a corruzione. Il fatto stesso di prendere degli stipendi così elevati e di fruire di immensi privilegi di varia natura, è già fonte di un incredibile abuso, a prescindere dall'ideologia politica che si professa.

FONTE: Homolaicus

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