domenica 31 ottobre 2010

Logos

DI NUCCIO CANTELMI

solitudine

Ora te lo scrivo, senza alcuna pretesa. Tutto è legato, tutto è connesso. La realtà non è altro che una sottile trama, una ragnatela invisibile che ci avvolge e che ci unisce.

La ragione prima sta nelle connessioni, nelle reti. Questa è la legge di natura, il motore primo, il senso. Non puoi capirlo, devi sentirlo. Non puoi spiegarlo, devi viverlo. Non puoi osservarlo, devi immergerti. Non puoi ragionarlo, devi crederci. Uomini di ogni secolo hanno percepito questa verità. Uomini che hanno capito che siamo parte di un tutto e che tutto è sempre maggiore della somma delle parti. Tu sai di cosa sto parlando, è dentro di te. Tu sai, nel tuo intimo, che non può essere che così. Perché ti ostini a cercare un senso fuori di te, quando ciò che è fuori corrisponde a ciò che è dentro. Perché ti affanni a cercare un luogo per le tue verità, quando la verità è un non luogo in cui tutto si unisce. Per una volta, rinuncia alle tue spiegazioni razionali e comincia a sentire. Segui Siddartha.

Ascolta il fiume che ti parla eppure non è mai lo stesso. Ascolta l’onda del mare che si prende beffa della nostra alterigia. Ascolta crescere un albero o morire una pietra…
E smettila di pensare, almeno una volta…

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giovedì 28 ottobre 2010

Sicurezza o Libero Arbitrio

DI BEATRICE CONSIGLI

sicurezza 

Sempre di più ormai dai mass media riceviamo messaggi atti a condizionarci, e non solo al fine di acquistare qualcosa, ma per far si che siamo qualcosa.

Assorbendo questi messaggi e omologandoci, contribuiamo a propagare il condizionamento con l’esempio, divenendo inconsapevoli complici di un meccanismo che ci fa muovere tutti intruppati in luoghi comuni, in valori scadenti, in abiti simili che però stanno a significare l’appartenenza. Quell’appartenenza che da sicurezza, fa sentire che ci siamo, siamo in regola, siamo a posto. E’ un bisogno atavico quello dell’appartenenza, animale. Ma non dovrebbe trasformarsi in schiavitù ne nell’annullamento di quelle caratteristiche salienti che rendono ognuno di noi unico ed irripetibile. Eppure, per un piatto di lenticchie vendiamo la nostra originalità. Per raggiungere quella falsa sicurezza di facenti parte tutta esteriorizzata, siamo capaci di perdere la capacità reale di essere presenti: quella di esercitare il libero arbitrio. Viviamo allora in un mondo illusorio i cui scenari sovente si lacerano lasciandoci fragili ed impauriti. E dietro questi scenari di carta non ritroviamo la capacità critica e l’autonomia di pensiero a sostenerci, ma il vuoto agghiacciante del condizionamento. Siamo la generazione del nulla, del comodo, veloce e precotto. Imboccati, abbiamo perso perfino la capacità fondamentale di procurarci il cibo. Siamo disabituati a porre domande, a valutare autonomamente gli eventi, le cose, le persone. Tutto questo ci ha indebolito, quando invece la forza intrinseca dell’essere umano sta in ciò che pensa, in ciò che impara, in ciò che può scegliere di mettere in pratica.

E’ la percezione delle proprie potenzialità che rassicura, di quello che saremmo in grado di fare se. Ma per saperlo, dobbiamo coltivare questa parte di noi, la parte critica, creativa e decisionale. Il libero arbitrio deve essere sempre presente, pronto a reagire ai condizionamenti, pronto a valutare la reale importanza delle cose, pronto a filtrare e a scegliere, a difendere ed a costruire la nostra interiorità, permettendoci così la reale appartenenza al branco, fatta di utilità, contributo e partecipazione.

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mercoledì 27 ottobre 2010

La Manipolazione si basa sulla mancanza di Consapevolezza

DI MARCO CANESTRARI

Abbiamo già visto, nella serie di articoli su “Come si Controllano le Masse nei Paesi Democratici”, che per favorire le dinamiche primitive delle masse e poterle controllare, è indispensabile proporre e stimolare il più possibile, modelli di pensiero che siano primitivi, egocentrici, impulsivi ed aggressivi e allo stesso tempo si devono ridurre tutte le indagini razionali al battibecco personale e al gossip, abbassando la discussione all’attacco personale.

Se ci dividiamo in ideologie, scendiamo sul battibecco e limitiamo la nostra visione d'insieme allora diminuiamo la possibilità di cooperare. Chi ha interesse a manipolare le masse cercherà di distruggere l'immagine della scuola pubblica e dell'istruzione, cercherà di creare una "moda" che consiste nell'essere forti e ignoranti, combattivi e poco riflessivi.

Se si vogliono cambiare le regole del gioco in un verso o nell'altro bisogna iniziare ad agire alla base, partendo dalla consapevolezza del singolo. Più conoscenza abbiamo e più la nostra scelta finale sarà consapevole.

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lunedì 25 ottobre 2010

Il Limite è dei Numeri

DI GIANPAOLO MARCUCCI

fibonacci 

L’uomo è ossessionato dalla necessità di misurare. Lo desidera, non sa fare altro. In ogni cosa cerca un limite da definire. Se conosce un altro uomo, vuole sapere quanti anni ha, quanto è alto, quanto pesa, quanti fratelli possiede, dove abita, quanto guadagna. Non vuole sapere qual è il suo colore preferito, se gli piacciono i tramonti o le farfalle, vuole misurarlo, chiuderlo in un cassetto ed essere sereno di avere un nuovo sacchetto di numeri da contemplare all’occorrenza.

Pare che a questa necessità misuratrice dell’uomo non ci sia fine, “è una necessità del pensiero” e l’uomo, si sa, è ossessionato dal pensiero. Anche se non salta subito all’occhio, moltissime nostre inclinazioni derivano da questa propensione. Una di queste è la tendenza ad accumulare denaro ed oggetti, un’altra, quella che spinge a racchiudere la natura in figure geometriche. Tutti conoscete il bisogno di avere sempre più cifre sul proprio conto in banca o pantaloni nel proprio armadio; ma avete mai notato, osservando il paesaggio da dentro un aereo, che ciò che sancisce la presenza dell’uomo in un dato territorio è la geometria? Fermiamoci un attimo, però, e proviamo a guardare con più calma il nostro pianeta. Osservando la spontanea natura che ci circonda, quella non contaminata, quella che esisteva già migliaia di anni fa, e che continuerà ad esistere dopo di noi, siamo davvero in grado di trovare il limite di ogni cosa? Possiamo misurare un’onda? Asserire con certezza dove finisce l’oceano e comincia la spiaggia? Prendiamo come esempio un albero. La parte più visibile e superficiale di un albero è la foglia. Se volessimo rincorrere il limite, ci fionderemmo subito a misurarla. Quanto è lunga una foglia? E più lunga o più corta di quella accanto? E i rami? Il tronco? Bene, il misuratore che è in noi si è già messo in moto, abbiamo visualizzato la forma di una foglia, quella di un'altra foglia per fare paragoni di misura, quella dei rami, del tronco. Accendendo il computer che è nel nostro pensiero, siamo andati subito alla ricerca di numeri, forme, e abbiamo perso di vista la domanda situata a monte dell’esperienza. In natura, è lunga una foglia? Per dirlo con sicurezza dovremmo prima affermare che la foglia è un entità a se stante, separata dal ramo. Ma siamo in grado di indicare il punto esatto dove la foglia finisce e comincia il ramo? E il tronco? Le radici? Dove finiscono le radici e comincia la terra? Possiamo dire che una foglia di un albero è separata da un’altra foglia, seppur distante? Che un albero è separato da un altro albero? In natura nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. Allora qual è il momento preciso in cui avviene una nascita, e da due persone, se ne forma una terza? Esiste questo momento? Sono realmente entità separate quelle persone?

Per cercare quello che di più vero e profondo riserva per noi il nostro bellissimo pianeta, dovremmo dare meno importanza ai numeri, i limiti e la loro misurazione, e concentrarci su domande più semplici, che non partono dal pensiero, ma dai nostri occhi. Nei momenti in cui il nostro tempo non è vincolato da imposizioni sociali, proviamo a soffermarci ad osservare la natura che ci circonda, è piena di spunti per i nostri sensi. E’ da li che possiamo far nascere qualcosa di veramente nuovo e creativo, per noi e per i nostri figli.

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domenica 24 ottobre 2010

Aggressività e Indifferenza

DI LUCA DIOTALLEVI

foto-Aggressività e Indifferenza

"Rabbia, stress, impulsività, paura, rassegnazione, mancanza di empatia, mancanza di partecipazione diretta e di cooperazione verso le questioni sociali. E' il quadro di una nuova società che sta prendendo forma: violenta, egocentrica ed incapace di rapportarsi positivamente con il prossimo. Se un problema ci riguarda direttamente reagiamo con aggressività, se invece il problema si diffonde intorno a noi senza toccarci personalmente allora lo lasciamo crescere, rimanendo passivamente in attesa come degli spettatori distaccati" - Marco Canestrari

Una donna riceve un pugno in pieno volto dopo una discussione nella stazione della metropolitana dell’Anagnina e finisce in coma. A Milano un tassista viene aggredito e ridotto in fin di vita per aver investito un cane. Quest’estate, nel capoluogo lombardo, un’altra donna era stata uccisa in strada a pugni da un uomo preda di un raptus di follia, mentre è di ieri la notizia di un anziano che ha accoltellato a morte una vicina di casa e ne ha ferita un’altra nel fiorentino: non sopportava i cani delle due donne. Episodi di violenza quasi quotidiani, balzati agli onori della cronaca per la loro brutalità e gratuità, spesso consumati nell’indifferenza di quanti si trovano ad assistervi. Per capire cosa sia saltato nel meccanismo sociale, abbiamo incontrato Luca Diotallevi, professore associato di Sociologia all’università di Roma Tre.

Luca Diotallevi, da dove nascono episodi di violenza come quelli accaduti nei giorni scorsi?
Gli eventi a cui abbiamo assistito in questi giorni non sono occasionali ma caratterizzano tutte le società cosiddette “evolute” e in Italia accadono con una certa frequenza e intensità, spesso per futili motivi. La violenza che li caratterizza è come l'acqua in una bottiglia: se il contenitore si rompe, il liquido si disperde e diviene incontrollabile. Le bottiglie capaci di contenere e arginare l'acqua della violenza sono le autorità e le istituzioni. Queste due strutture sociali esercitano un uso razionale, prevedibile, limitato e responsabile della violenza, tali da rendere la violenza stessa un ingrediente sociale positivo perché diventa sanzione solo in determinate circostanze.

Le istituzioni e più in generale le autorità, dunque, sono in crisi.
Sì, la crisi delle istituzioni e delle autorità può manifestarsi nell'eccesso di lassismo o, viceversa, nell'enfasi dell'autoritarismo. Dopo gli anni Sessanta e Settanta, le istituzioni sociali sono riuscite sempre meno ad esercitare le loro funzioni. In quel decennio, di contro, c'è stato il definitivo compiersi della società degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta: sono migliorati l'istruzione, il reddito medio delle famiglie e tanti altri aspetti della vita quotidiana. Ad una società “cresciuta”, però, non hanno corrisposto istituzioni adeguate: tendenzialmente oggi hanno perso autorevolezza i genitori, i giudici, i giornalisti, i sacerdoti, gli scienziati e tante altre categorie sociali. Oggi come nel '68 siamo preda dell'idea che possa esistere una società senza autorità e abbiamo costruito una caricatura di modernità.

Questa concezione può portare ad episodi di violenza come quelli visti a Roma e Milano?
Certamente. Quarant'anni fa era scontato che a una signora non si potesse rispondere alzando la voce, altrimenti sarebbe arrivata una “sanzione”. Oggi non è più così. E queste sanzioni non sono solo “familiari” ma devono essere intese a livello più ampio: la società italiana è cresciuta ma le istituzioni che avevano permesso tale crescita – penso alla grande funzione della scuola negli anni Cinquanta – non essendosi riformate non riescono a gestire il successo che hanno prodotto.

In cosa dovrebbe consistere questa riforma?
Le istituzioni dovrebbero mediare, a un livello più elevato, rispetto e libertà: la caratteristica delle società moderne, infatti, è una maggiore libertà individuale e più rispetto del bene pubblico.

L'indifferenza di quanti si trovano ad assistere a questo tipo di aggressioni fa spesso da cornice ai fatti di cronaca: i passanti assistono al pestaggio ma nessuno interviene.
Quell'indifferenza non va letta come complicità, si tratta di vera indifferenza dovuta al fatto che le persone non sanno più come reagire. Mentre prima si sapeva quale atteggiamento era permesso e quale vietato, adesso una certa cultura permissiva – che è l'esatto contrario di quella liberale – e in qualche caso autoritaria, ha privato il cittadino di alcuni comportamenti: di fronte a un pugno sferrato da un giovane a una signora, la gente non sa se approvare o disapprovare un determinato evento poiché non è più allenata alle istituzioni sociali né al discernimento.

FONTE: ROMASETTE

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giovedì 21 ottobre 2010

Nasce l'Associazione "Ecco Cosa Vedo"

DI MARCO CANESTRARI

Il 24 Settembre 2010 il gruppo fondatore firma lo statuto e l'atto costitutivo ECV.

In un mondo in cui il controllo dell’informazione è una fonte di potere incommensurabile, dove i mass media si accaparrano sempre di più la funzione di “educatori della società”, impegnarsi nel facilitare a tutti l’acquisizione di una maggiore consapevolezza individuale e sociale, diviene non già solo un compito importante da svolgere, ma una vera e propria necessità da soddisfare. Il Movimento ECV si propone di sensibilizzare la popolazione verso il principio che le strutture mediatiche e della comunicazione siano un valore sociale fondamentale e che dovrebbero quindi favorire lo sviluppo di un ambiente fertile ad una naturale evoluzione collettiva che sia sempre più orientata alla creazione di scelte consapevoli. Il movimento si propone di agire nella direzione di compensare la mancanza di eticità di quei modelli di vita in cui si tende a massimizzare la visibilità ed il guadagno economico a scapito di una visione d’insieme, completa e sensibile del mondo.

 


COME SI STA REALIZZANDO TUTTO QUESTO?

CON IL TUO AIUTO: Se sei interessato a fare parte del movimento (sia come membro del gruppo centrale di Roma, sia nelle varie attività in Rete) puoi contattaci per avere tutte le informazioni.

Il Movimento è ideato, fondato e gestito da Marco Canestrari e fa riferimento al suo Blog indipendente “Ecco Cosa Vedo”. E’ un Movimento non violento che promuove il rispetto per la vita in tutte le sue forme e per l'ambiente che ci circonda. ECV si struttura formalmente costituendo un’organizzazione senza scopo di lucro aperta a tutti. Ogni simpatizzante potrà supportarci semplicemente associandosi o anche collaborando attivamente in qualità di Socio Operativo.

 

COME ASSOCIARSI

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente,
per cambiare qualcosa, costruisci un modello che renda la realtà obsoleta

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mercoledì 20 ottobre 2010

Alle Radici dell'Altruismo

DI ANTONIO PACILLI

altruismo


Le relazioni interpersonali sono alla base delle dinamiche sociali.

Affinché una relazione sia costruttiva e consenta un interscambio genuino, vi è bisogno che tale relazione sia basata sulla massima apertura di un soggetto nei confronti dell'altro. Per “apertura” si intende la capacità di comprendere le emozioni altrui e di identificarsi con le stesse. Vivere sinceramente il disagio o la gioia delle altre persone è l'anticamera dell'altruismo. Oggi non è semplice trovare relazioni che siano basate in maniera naturale su tali sentimenti. Oggi vi è un senso di moralità diffuso che non esprime la vera natura dell'altruismo, ma ne dà una forma socialmente compatibile. Si tratta di quell’altruismo che “è bene” venga mostrato in quanto dà un’immagine migliore e regala un’illusoria tranquillità alla coscienza delle persone. Tale circostanza rende false molte forme di altruismo che troviamo nella nostra società. Infatti, spesso ci troviamo in presenza di quello che potremmo definire un “altruismo socializzato”. E’ possibile trovare il vero altruismo nei bambini, nei primi anni della loro esistenza fino a 15-18 mesi. Altruismo incondizionato che non è deviato dagli standard della nostra società. Nasciamo altruisti, ma perdiamo questo sentimento e questo essere della nostra persona, man mano che la realtà imposta diventa il registro della nostra crescita personale.

Molto dipende dai genitori. Se i genitori guidano i bambini nella comprensione dei loro istinti, li aiuteranno a crescere mantenendo vivo il loro senso empatico. Senso empatico che potrebbe anche essere una reazione a ciò che invece è mancato, ad alcuni bambini, dei propri genitori. In quest’ultimo caso, pur ottenendo effetti simili sulla sensibilità, avremo un processo di certo più travagliato e che, in ogni caso, lascerà segni sulla personalità dell’individuo. Vi è anche un altro fattore da considerare. L’uomo ha due istinti primordiali che, sebbene non siano chiaramente espressi nei comportamenti delle persone, sono ancora radicati nel DNA della massa. Stiamo parlando dell’istinto di sopravvivenza e dell’istinto di riproduzione. I media generalmente agiscono su tali istinti per diverse finalità di controllo, producendo un effetto di adombramento dell’istinto di altruismo che è presente nei bambini. Se la prevalenza delle persone soggette ai media si sottraggono a tali azioni di controllo e si sforzano di essere consapevoli delle proprie emozioni, potranno aumentare la propria capacità di ascoltare e comprendere le emozioni altrui. Cercando gesti di altruismo incondizionato, senza fine di riconoscimento sociale, si arriverà a donare senza aspettarsi niente in cambio (non solo in senso materiale)! Il raggiungimento di uno stato di empatia potrà alimentare la motivazione ad intervenire nei confronti del prossimo senza tenere in considerazione il riconoscimento sociale.

La capacità di sintonizzarsi con le emozioni degli altri investe l’individuo di un’importante missione sociale che ha lo scopo di diffondere un altruismo puro come quello di cui la natura ci ha dotati alla nascita e che ci darà la possibilità di vedere uno sviluppo costruttivo delle dinamiche sociali.

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martedì 19 ottobre 2010

Le Follie di Massa

DI ENRICO GALAVOTTI

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La follia più pericolosa è quella che si ammanta dei crismi della ragione (il fascismo voleva realizzare gli ideali del socialismo!), è quella che cattura le masse con la propaganda (il fascismo come movimento, come esperienza concreta di liberazione), è quella che, infine, ha un potere costrittivo (il fascismo come regime, come feroce dittatura). Non è la follia del singolo che fa paura, ma quella della società strumentalizzata dagli intellettuali, a loro volta strumentalizzati dal capitale o vittime delle ideologie.

La follia di massa si forma quando, per l'illusione di credere che, in ultima istanza, trionfa sempre la ragione, non si sono volute prendere, al momento opportuno, le misure adeguate per risolvere determinati fattori di crisi. Il torto di lasciar correre, fidando nelle istituzioni, non ha fatto altro che favorire l'accumulo delle contraddizioni e, di fronte alla sempre più palese impotenza delle istituzioni, si è deciso di reagire istintivamente. Così è nato, di recente, il fenomeno delle Leghe (così era nato il fenomeno del fascismo). Il sistema tende a promuovere o a tollerare le follie di massa anche per nascondere, agli occhi dei cittadini, la propria irreversibile crisi. Generalmente, quando la crisi del sistema è appena agli inizi, le follie di massa vengono temute dal sistema (si pensi ad es. al terrorismo o alla tossicodipendenza), ma quando la crisi del sistema è profonda, le follie di massa vengono alimentate (direttamente, come ad es. con il consumismo sfrenato, o indirettamente, come ad es. coll'inerzia con cui si combatte la mafia o il neo-fascismo), proprio perché si spera di poter ricontrollare la situazione facendo appello a leggi speciali. Con l'introduzione di queste leggi, molte libertà democratiche verranno coartate se non eliminate. Si crea così il clima favorevole alla dittatura. Ad un certo punto infatti si affermerà che le leggi repressive non bastano, che occorrono misure di forza più energiche, ecc.

L'indifferenza, nei confronti delle follie di massa, viene usata dal sistema non solo quando esso sa di non avere i mezzi democratici per superare la propria crisi strutturale, ma anche quando aspira a giocare, in ultima istanza, la carta dell'autoritarismo. Solo che per giocare tale carta il sistema ha bisogno dell'indifferenza dei progressisti e della follia delle masse ignoranti, che si lasciano strumentalizzare. La dittatura infatti non è cosa che si possa imporre senza incontrare resistenze di sorta.

Se l'opposizione sceglie l'indifferenza, lo fa in genere per due ragioni: o non sa come risolvere concretamente le contraddizioni del sistema (era la posizione del liberalismo crociano), oppure spera di poterle risolvere solo dopo che esse, da sole, hanno portato il sistema al crollo (era la posizione del socialismo riformista).

FONTE: HOMOLAICUS

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domenica 17 ottobre 2010

Le 10 Strategie della Manipolazione

DI NOAM CHOMSKY

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Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media. E' molto interessante notare come ricerche fatte in maniera indipendente fra di loro possano portare agli stessi risultati finali. Per evidenziare queste analogie abbiamo applicato nel testo seguente alcuni link presi dai nostri approfondimenti su "Come si Controllano le Masse nei Paesi Democratici".

 

1 - La strategia della distrazione
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali.

2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione
Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini
La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno.

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione
Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti.

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità
Far sì che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori".

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità
Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.

9 - Rafforzare il senso di colpa
Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire.

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

 

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venerdì 15 ottobre 2010

Il Battibecco non Paga

DI VALERIO PASSERI

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Spesso ci capita di affrontare discussioni di vario tipo con altrettanti tipi di persone. Ognuno a tali situazioni reagisce in maniera differente, al carattere di ognuno si vanno a cumulare sentimenti e sensazioni differenti ogni volta. Quando ci si confronta con qualcuno è comune voler far prevalere le proprie idee su quelle degli altri, avere ragione. Sentirsi dire di essere nel giusto provoca in noi sentimenti di soddisfazione e felicità, il contrario invece può provocare frustrazione, inadeguatezza e sconfitta. Proprio per questo, specialmente in stati di stress ed ira, a volte si continua a difendere le proprie idee a spada tratta, anche se lentamente ci si rende conto non essere così valide come si pensava all’inizio.

Soggetti che si comportano sempre, o quasi, in questa maniera possono essere etichettati come testardi ed orgogliosi ed oggi non sempre si attribuisce a queste due definizioni un significato negativo. Un confronto tra due persone testarde ed orgogliose è come una partita di tennis con un muro al posto della rete, nessuno dei due riesce a vedere il gioco dell’altro e nessuno dei due migliora il proprio modo di giocare. La necessità di attribuirsi la ragione risulta quindi inutile se non dannosa, essa è quasi mai attribuibile arbitrariamente ma sei i due sono “bravi giocatori”, che il “match” finisca in parità o che uno dei due cambi la propria idea iniziale, avendo ascoltato e riflettuto sulle parole dell’altro, senza dubbio la discussione porta ad una crescita mentale di entrambi. Un dibattito quindi non dovrebbe essere considerato come una sfida, la ragione ed il torto non sono rispettivamente vittoria e sconfitta, ciò che è importante è il saper ascoltare, dote estremamente sottovalutata in una società dove l’importante è aprir bocca, più si ascolta, più si apprende, più si ingrandisce il proprio bagaglio d’esperienza e culturale, più si hanno a disposizione strumenti per costruire una verità propria.

Un confronto ci può quindi essere soltanto tra due persone aperte, che non si lascino influenzare nella discussione dalle proprie passioni e dalle proprie convinzioni e alle quali non importa di avere ragione ma di arrivare ad una verità, il resto è solamente battibecco, quello che vediamo così spesso in programmi TV, e che reca perdita di tempo ed energie. Anche se chi abbiamo di fronte sembra dire qualcosa che va completamente contro le nostre convinzioni, vale comunque la pena di ascoltarlo fino alla fine, a volte ci potrebbe sorprendere, per le altre sarà comunque utile aver ascoltato un’altra opinione, mettere in discussione le proprie idee ci rende persone più saggie e consapevoli.

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mercoledì 13 ottobre 2010

Quali Regole per il Bambino?

DI VITTORIA LUCIANI

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Molto spesso i genitori si interrogano sulle regole e sui limiti da dare ai propri figli. Quando dire di no? Quali regole dare? Quanto essere fermi nell’impartirle?

Le regole hanno una funzione fondamentale nell’educazione, nella crescita e nello sviluppo di un bambino, perché attraverso di esse entrambi i genitori pongono dei limiti, mettono dei confini e soprattutto danno al proprio figlio un contenimento emotivo, che egli stesso a volte sembra richiedere facendo i capricci e mettendo in atto dei comportamenti inadeguati, come se attraverso di essi, inconsapevolmente, cercasse di valutare il sostegno e la sicurezza che può ricevere dalle sue figure genitoriali. E’ importante che le regole che ogni genitore sceglie di dare al proprio figlio non siano mai troppo rigide, ma autorevoli, coerenti e motivate, laddove all’opposto, una loro assenza potrebbe dare al bambino un’insicurezza e la sensazione di non avere né dei confini, né degli importanti punti di riferimento con i quali confrontarsi, oltre al fatto di ricevere un messaggio di disinteresse da parte dei suoi genitori. Nel rapporto tra genitori e figli, spesso è possibile osservare una “fatica” dei primi nel dare delle regole importanti ai secondi: tutto ciò può nascere da una difficoltà dei genitori stessi ad assumersi delle responsabilità nei confronti dei propri figli, come anche dalla mancanza di un modello educativo di riferimento nel quale essi stessi, nel rapporto con le loro figure genitoriali, non hanno potuto sperimentare la presenza di un sistema di regole utili alla loro crescita. Un bambino che cresce in un contesto familiare privo di regole, prima o poi al di fuori di esso, come a scuola o nello sport che frequenta, si troverà a confrontarsi con una realtà ben diversa, laddove potrebbe essere per lui molto difficile rispondere a delle richieste e a delle regole specifiche e riuscire così a tollerare la frustrazione necessaria per comprendere che non sempre può fare o ottenere ciò che vuole, con il rischio per lui conseguente di costruire dei rapporti conflittuali con i compagni, o al contrario di tendere ad isolarsi.

Solitamente alla coppia genitoriale, in ugual misura e con la stessa autorevolezza, spetta il compito di educare e di dare delle regole al proprio figlio, non senza aver prima cercato una condivisione ed un confronto utili affinché al bambino possa giungere lo stesso insegnamento da parte di entrambi, per non sentirsi disorientato e per evitare che egli possa ricercare un’alleanza esclusiva con l’uno o con l’altro genitore, che egli può avvertire come meno autorevole, e ricercare da lui un’eccessiva protezione che può impedirgli di crescere.

FONTE: PAGINEBIMBO

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martedì 12 ottobre 2010

Solitudine, Stato dell'Anima

DI ANNA MULATTIERI

solitudine1

Siamo soli tutti, benché ci si circondi di tante persone, tante cose. Nel momento più intimo siamo soli: possiamo pensare di far partecipare altri alla nostra vita, ma nell'atto stesso di questo pensiero si è soli.

Abituati a considerare la solitudine come una condizione spiacevole, a volte spaventevole, spesso diventa per noi un nemico da fuggire a qualsiasi costo. Preferiamo perderci dietro distrazioni di ogni sorta, vivere con frenesia, tenendoci occupati con impegni continui piuttosto che fermarci ed osservarci. La solitudine è la condizione di ogni individuo, nonostante tutti la temono, la rifuggono come cosa di cui aver paura. Questa valenza negativa che le associamo deriva anche da un impulso ancestrale, da sempre l'uomo come tutte le specie animali si riunito in gruppi e tribù, per trovare nella propria comunità protezione e garanzia di continuità. Vi sono ancora solitudini imposte dalla società. Si tende ad isolare chi non appartiene ad un gruppo prestabilito (tifo, politica, religione) emulando un senso di appartenenza in cui ci si unisce e ci si sente più sicuri, senza correre il rischio di rimanere fuori. I mezzi di comunicazione, i mass-media, gli slogan pubblicitari ci invitano a distinguerci esprimendo modi di vita che da una parte accentuano l’individualismo, ma in realtà raggiungibili solo con comportamenti ed oggetti uguali per tutti. Questi messaggi, per loro natura contraddittori, alimentano in noi la fuga e la ricerca di un rifugio che limita la crescita e lo sviluppo dell’autonomia individuale. Ci si adegua al pensiero di gruppo a discapito del pensiero del singolo, che via via si trova isolato e non più stimolato, non trovando sostegno ne approvazione. Smarriti, non resta che adeguarsi a quello che la società e il mercato dettano costantemente, protesi nel ricercare all’esterno i significati delle cose, non ci rendiamo conto di allontanarci sempre più dalla fonte originaria interiore.

Perché aver paura di quella che è una condizione naturale? Questa continua ricerca della sicurezza, che ci si aspetta arrivi dagli altri, quanto può realmente rendere sicura la nostra vita? L'uomo si sa, è un animale sociale, vive bene in compagnia. Ma realmente si può star bene con gli altri, se si hanno difficoltà a restar soli con se stessi? Proviamo a rivalutare il fatto di poter avere uno spazio tutto nostro, dove abbandonare le ansie "da prestazione" ed imparare a conoscersi. La solitudine, il saper star soli, può rappresentare una preziosa risorsa. Permette agli uomini di entrare in contatto con i propri sentimenti più intimi, di riorganizzare le idee, di mutare atteggiamento. Può dunque diventare la strada della ricerca interiore, riscoprendola come un'opportunità per maturare, con i suoi spazi e la sua creatività.

Perché è quando si è soli che arrivano le idee nuove, con il silenzio, lontano dal frastuono e dai richiami martellanti.

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domenica 10 ottobre 2010

Volontariato Salute del Mondo

DI PAOLO PORRI

 volontariato

Pur ricordando che il commercio è un’attività che esiste praticamente da quando l’uomo ha mosso i suoi primi passi sul pianeta terra, questa vuole essere una obbiettiva analisi mirata a detronizzare il denaro ed il suo finto potere nel mondo odierno e non un isterica sterile denuncia di ciò che è scontato, per proporre solamente un’altra evanescente utopia.

Il commercio inteso come scambio di merci o di servizi, dapprima con altri servizi o merci e successivamente con una retribuzione monetaria che poi si tramutava in potere di acquisto, è una attività estremamente radicalizzata nelle abitudini dell’uomo. Tanto è che l’uomo sempre di più ha finalizzato ogni sua azione ad un maggiore arricchimento materiale e ad un conseguente maggior potere nella società. E’ doveroso, per la verità, precisare che non si può generalizzare questa affermazione in modo assoluto a tutto il genere umano di tutti i tempi. Ma non si può negare che la buona volontà, l’amore per il diritto e la giustizia e perfino l’evoluzione della vita stessa hanno sempre dovuto convivere e lottare con l’opposizione del, biblicamente detto, spirito del mondo (inteso più genericamente come errore o peccato). Si potrebbe perciò dire che uno dei principali “errori” o “tentatori” nello spirito del mondo è il dio denaro. Ormai l’uomo si può dire che sta sempre più diventando incapace di pensare ad un investimento del “suo” senza che ci sia per forza un’adeguata o più che adeguata retribuzione. Tanto più è elevato il ricavato, tanto più è onorevole e prestigioso il servigio o la donazione che noi andremo a fare. Il volontariato e la gratuità sono diventati “sacrifici” di alto valore morale ma che sembrano essere sempre meno apprezzati da chi dovrà gratuitamente lavorare.

Mi viene da porre una domanda a me stesso: non potrebbe essere già una retribuzione poter svolgere e realizzare la nostra vita, compiendo quotidianamente il ruolo per il quale abbiamo potuto constatare di essere venuti al mondo? Sì, perché se si considera che il denaro ha il potere e l’importanza che l’uomo stesso gli attribuisce, togliendo ad esso definitivamente il valore di acquisto e quindi anche il carismatico potere, non avremmo più da fare alcun conto con il dio denaro prima, durante e dopo la svolgimento di un qualsiasi progetto (mi riferisco soprattutto a progetti sociali) buono o cattivo che sia (questo farebbe parte di un altro tipo di valutazione che verrebbe fatta su un altro piano). Tutto ciò che dovremmo valutare sulla legittimità di un intervento si ridurrebbe ad una valutazione tecnico-strumentale e di carattere giurisdizionale per il rispetto del diritto e della libertà di ogni individuo. Non si dovrebbe chiedere il “permesso” economico-finanziario bensì porre l’attenzione sulla reale utilità e sicurezza dell’opera che si intende attuare. Diventa facile immaginare come l’esecuzione delle più urgenti manovre di soccorso nel mondo acquisterebbe una realizzazione pressoché immediata e ci sarebbe così un gigantesco passo evolutivo per l’edificazione e l’affermazione di un mondo universalmente più giusto.

Non essendoci più alcuna moneta a determinare il prezzo della vita ma, assolvendo ad un dovere naturale, di garantire cioè a tutti il diritto alla vita in una stessa dignità, la mano d’opera di qualità ed il prestigio a titolo di volontariato nel rispetto della globalizzata volontà di civile evoluzione, ci ritroveremmo ad avere, alla fine di tutti i conti, altro che da coordinare interventi e mano d’opera di ristrutturazione e poi... solo vita vera!

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giovedì 7 ottobre 2010

Un Ego da far Paura

DI BEATRICE CONSIGLI

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Quante volte trasformiamo quello che dovrebbe essere un costruttivo scambio di idee in un antagonismo all’ultimo sangue. Quante volte in nome di sterili luoghi comuni distruggiamo la comunicazione, la collaborazione.

Siamo sempre qui, a difendere a spada tratta un ego visionario che crede di essere il centro dell’universo, ed invece è solo una parte infinitesimale di un intero molto più ampio. E se, dopo aver vinto con l’imposizione una di queste misere battaglie, ascoltiamo il dentro, lo sentiamo ancor più svuotato di prima, tanto vuoto che l’eco dei nostri limitati concetti vi rimbomba fino ad assordarci. Ed è questo il vuoto lasciato da parole e pensieri nuovi a cui non abbiamo aperto la porta. Così rimaniamo rigidi ed incompleti, paralizzati sulle nostre convinzioni, mentre il fiume della vita ci scorre accanto, con tutta la sua ricchezza. Siamo allora ciottoli inermi lambiti soltanto dalla corrente del movimento; aridi, sterili e poveri. E non c’è miseria maggiore di quella interiore, di quella che crede d’esser pregio ed orgoglio ed invece è solo povertà. La miseria di chi spende le proprie preziose energie nel portare avanti con vano accanimento e a voce troppo alta lo stendardo barocco di un concetto fisso, ma proprio perché fisso, inutile.

Allora diventa indispensabile imparare ad ascoltare, a porre l’attenzione alle cose, alle persone, agli eventi. Imparare a liberarsi dalle inutili paure di quell’ego che ci rinchiude in una solitudine vuota. Imparare l’umiltà del mettersi in discussione, che porta sempre ad arricchimenti inattesi, a scoprire quanto sia ampia profonda e vasta l’enciclopedica umanità, a quante cose ancora abbiamo da imparare, e non solo da dire, a quante variabili ci possono essere intorno ad un concetto che consideravamo, fino ad allora, unico ed indiscutibile. A quanto questo concetto possa divenire più completo e profondo, se solo arricchito da altri punti di vista. Spesso però abbiamo paura ad abbassare le difese che si ergono a protezione di altre paure, eppure, lasciandosi andare, si può sentire il fiume che finalmente entra dentro di noi, a placare quella sete ancestrale di conoscenza che ci accompagna.

E ci si accorge anche che quell’io sono, quell’ego tanto presuntuosamente pauroso non esiste, che non c’è niente da difendere, che noi non siamo i concetti che professiamo, ma strumenti senzienti in grado di accogliere, elaborare, migliorare e condividere nuovamente, nell’infinito gioco della vita.

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mercoledì 6 ottobre 2010

Il Rumore delle Parole

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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Ascoltare è un'arte che non è facile acquisire, ma che porta con sé bellezza e comprensione profonda.

Ascoltiamo dalle profondità del nostro essere, ma il nostro ascolto è sempre alterato da preconcetti o dai nostri particolari punti di vista. Non siamo capaci di ascoltare direttamente, con semplicità; in noi l'ascolto avviene sempre attraverso lo schermo dei nostri pensieri, delle nostre impressioni, dei nostri pregiudizi. Per poter ascoltare ci deve essere calma dentro di noi, un'attenzione distesa, e non deve esserci il minimo sforzo tendente ad acquisire qualcosa. Questo stato vigile e tuttavia passivo è in grado di ascoltare quello che è al di là dei significati delle parole. Le parole portano confusione; sono solo un mezzo di comunicazione esteriore, ma per trovarsi al di là del rumore delle parole è necessario ascoltare in uno stato di vigile passività. Coloro che amano sono capaci di ascoltare, ma è estremamente raro trovare chi sia capace di farlo. La maggior parte di noi è troppo occupata a raggiungere degli obiettivi, a ottenere dei risultati; stiamo sempre cercando di andare oltre, di conquistare qualcosa, così non siamo in grado di ascoltare. Solo chi ascolta veramente può cogliere la melodia delle parole.

Avete mai ascoltato il canto di un uccello? Per poter ascoltare, la mente deve essere calma, una calma che non c'entra nulla col misticismo. Io vi parlo e voi, se volete ascoltarmi, dovete stare in silenzio; non potete farvi ronzare nella testa le idee più diverse. Quando guardate un fiore, guardatelo senza dargli un nome, senza classificarlo, senza stabilire a quale specie appartenga; solo così potete guardarlo veramente. Ma farlo è una delle cose più difficili, proprio come è estremamente difficile saper ascoltare: ascoltare un comunista, un socialista, un politico, un capitalista; oppure vostra moglie, i vostri figli, il vostro vicino, il conducente dell'autobus, il canto di un uccello. Potete ascoltare con estrema semplicità solo quando non date spazio ad un'idea o ad un pensiero: allora può esserci contatto diretto; e quando siete in contatto, capite se quello che vi dicono è vero o falso. Non avete bisogno di discutere.

State davvero ascoltando quando vi sforzate di farlo? Il vostro sforzo non è forse una distrazione che impedisce l'ascolto? Dovete forse sforzarvi per ascoltare qualcosa che vi rallegra? Finché la vostra mente sarà impegnata a fare sforzi, a confrontare, a giustificare, a condannare, non potrete rendervi conto della verità, non potrete vedere il falso per quello che è. L'atto di ascoltare è completo in se stesso; il semplice atto di ascoltare porta con sé la libertà. Ma a voi interessa veramente ascoltare? Oppure quello che vi importa è intervenire per tentare di modificare la confusione che vi portate dentro? Se ascoltaste, cioè se vi rendeste conto delle vostre contraddizioni, dei vostri conflitti, senza preoccuparvi di costringerli a entrare in un particolare schema di pensiero, forse questi finirebbero. Vedete, noi stiamo sempre cercando di essere qualcosa, di raggiungere uno stato particolare; vorremmo fare determinate esperienze ed evitarne accuratamente altre. Ma in questo modo la nostra mente rimane sempre occupata, non è mai tranquilla, non è mai in grado di ascoltare il rumore delle sue lotte e delle sue pene. Siate semplici. Non cercate di diventare qualcosa o di aggrapparvi a qualche esperienza.

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lunedì 4 ottobre 2010

Fascismo e Antifascismo nei Paesi Controllati

DI ENRICO GALAVOTTI

neofascismo

Se si educa l’essere umano a pensare in maniera negativa, abituandolo a osservare solo “il male del mondo”, quando questo male lo toccherà in prima persona, la sua reazione sarà inevitabilmente istintiva e scomposta. Egli infatti, non essendo stato abituato a trovare le soluzioni più giuste per tutti i problemi, sarà indotto a pensare che il modo migliore per risolvere quel problema che lo riguarderà personalmente, sia l’uso della forza o della violenza.

Ecco perché chi dispone del potere della comunicazione di massa ha una grande responsabilità: o usa i media in maniera educativa o li usa in maniera diseducativa. L’informazione non può mai essere neutrale, neppure quando dice di voler separare i fatti dal commento. Nel momento stesso in cui si sceglie di comunicare un fatto invece che un altro, ci si sottopone al rischio di influenzare negativamente la psicologia delle masse. Quando si è costantemente abituati a osservare violenze d’ogni genere (in film, telegiornali, documentari), la gente comune (soprattutto quella meno consapevole o più qualunquista) si fa l’idea che quella sia l’unica realtà possibile e che di fronte a una realtà del genere l’unica soluzione praticabile sia quella di usare gli stessi strumenti, possibilmente con più astuzia, con meno scrupoli morali, per potersi affermare meglio e prima degli altri. Una visione costantemente negativa della vita parte da una concezione individualistica e disperata della vita e porta inevitabilmente a tale stile di vita. La disperazione porta alla violenza, sugli altri e anche su se stessi (quando ci si accorge di non avere più risorse).

Dobbiamo abituare gli esseri umani a pensare in positivo, non per illuderli che la realtà sia senza problemi, non per restare ciechi di fronte alle contraddizioni, ma per avere fiducia nelle proprie capacità, per credere nella possibilità di cambiare le cose, col contributo di tutti. Il fascismo è sempre il prodotto di una lenta evoluzione della società verso l’accettazione dell’immoralità e della corruzione. Il fascismo non nasce perché qualcuno in particolare lo vuole. Nasce perché i tanti che al momento opportuno non avevano fatto nulla di positivo, si ritrovano a non avere la forza sufficiente per opporsi a un male che si presenta sempre con il volto della “salvezza”. Chiunque attende la venuta di un “messia”, vive una concezione individualistica e quindi fatalistica dell’esistenza. Si attende un “liberatore” appunto perché ci si ritiene incapaci di affrontare e risolvere i problemi sociali, e anche perché si ritiene che le masse non siano in grado di risolvere alcunché se non vengono guidate con la forza. Il fascismo è la radicalizzazione dei mali dell’individualismo: è la pretesa di risolvere in maniera autoritaria le contraddizioni antagonistiche della società borghese. Finché gli uomini non si abituano a gestire in maniera collettiva, partecipata, le risorse di cui dispongono, per risolvere i problemi che si presentano, il pericolo del fascismo sarà sempre dietro l’angolo, sia esso di destra o di sinistra. Solo le sue sembianze cambieranno, per poter ingannare le nuove generazioni (le quali si illuderanno di non essere “fasciste” solo perché diranno di non voler ripetere gli errori del passato).

Il colmo dell’ipocrisia infatti avviene quando in nome del collettivismo o del populismo si affermano princìpi fascisti. Lo stalinismo non è forse stato un fascismo di sinistra? E il fascismo italiano non è forse nato coll’intenzione di realizzare gli ideali del socialismo? E il nazismo non si chiamava forse “nazional-socialismo”?

Ecco perché il fascismo più pericoloso non è mai quello che inizialmente si presenta per quello che è, bensì quello che si maschera con le sembianze dell’anti-fascismo.

FONTE: HOMOLAICUS

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domenica 3 ottobre 2010

Il Progetto "Ecco Cosa Vedo"

DI MARCO CANESTRARI

In un mondo in cui il controllo dell’informazione è una fonte di potere incommensurabile, dove i mass media si accaparrano sempre di più la funzione di “educatori della società”, impegnarsi nel facilitare a tutti l’acquisizione di una maggiore consapevolezza individuale e sociale, diviene non già solo un compito importante da svolgere, ma una vera e propria necessità da soddisfare. Il Movimento ECV si propone di sensibilizzare la popolazione verso il principio che le strutture mediatiche e della comunicazione siano un  valore sociale fondamentale e che dovrebbero quindi favorire lo sviluppo di un ambiente fertile ad una naturale evoluzione collettiva che sia sempre più orientata alla creazione di scelte consapevoli. Il movimento si propone di agire nella direzione di compensare la mancanza di eticità di quei modelli di vita in cui si tende a massimizzare la visibilità ed il guadagno economico a scapito di una visione d’insieme, completa e sensibile del mondo. ECV vuole dimostrare, soprattutto nella pratica, che gli schemi di comportamento vincenti, che danno soddisfazione personale e sicurezza non sono solo quelli aggressivi, impulsivi ed egocentrici che sempre più spesso ci sentiamo spinti ad imitare.

 

SCOPO: L'obiettivo principale dell'organizzazione è quello di creare, con l'aiuto di tutti, una struttura educativa e socialmente utile che possa divulgare informazioni, competenze e strategie promuovendo i contenuti più costruttivi ed etici, volti a favorire delle scelte sempre più consapevoli verso le soluzioni ai problemi della società moderna. Il Movimento è regolato dai nostri principi di base e svolge la sua attività sia in rete (con siti, comunità virtuali, ecc..) che sul territorio (con gruppi locali, conferenze, corsi, libri, giornalini ed articolando una struttura educativa stabile).

IL PROGETTO: Dare vita a delle comunità organizzate (sia comunità virtuali in Rete che sul territorio) in grado di accrescere autonomamente la loro capacità di risolvere i problemi.

COME FUNZIONA: Si sviluppano delle comunità che abbiano un numero di interazioni sempre maggiore. Fra queste interazioni si filtrano e promuovono non quelle che massimizzano il guadagno economico o che riscuotono più visibilità, ma quelle più costruttive e di beneficio generale, come descritto dai principi di ECV. I modelli e le strategie migliori verranno inglobati nel sistema stesso migliorando la sua capacità di espandersi, di riconoscere, di comprendere e gestire le nuove informazioni in ingresso. La coscienza collettiva della comunità si verrà a strutturare in un ambiente fertile ai modelli etici, dove le conoscenze, le competenze e le soluzioni più utili alla collettività nel suo insieme saranno sempre di più facile accesso rivelandosi le più conosciute, diffuse e condivise in una rincorsa verso il miglioramento generale.


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Per innescare questo virus benefico le comunità devono sviluppare delle procedure secondo i seguenti criteri:

FIDUCIA E CREDIBILITA’: Fare acquisire fiducia, credibilità e interesse da parte di individui di ogni classe sociale, politica, ideologica e religiosa, compresa l’enorme fascia degli scoraggiati, degli indecisi e dei rassegnati.
PARTECIPAZIONE COSTRUTTIVA: Stimolare una partecipazione sempre più diretta e consapevole verso le soluzioni d’insieme ai problemi comuni. Liberare l’energia presente in ogni individuo e orientarla “a favoredella costruzione organizzata e sistematica di modelli migliori rispetto a quelli che si criticano.
COOPERAZIONE NELLA DIVERSITA’: Dimostrare l’efficienza e la fattibilità di metodi di lavoro che permettono di cooperare nella diversità, utili e condivisibili da persone di ogni ideologia o dottrina.

 

CONDIVIDERE LE RISORSE SENZA UNIFORMARE GLI INDIVIDUI: Un punto cardine del movimento è quello di promuovere l’apprendimento e la cooperazione garantendo un ambiente che tuteli le diversità. ECV si propone di riuscire, partendo dalle basi, a sommare le energie di tutte le diverse persone che sentono una stessa necessità e organizzarle in maniera costruttiva verso la soluzione del problema condiviso. Le linee guida del Movimento, in controtendenza con le regole di base della maggior parte dei canali di diffusione e delle organizzazioni fortemente ideologizzate, hanno permesso, durante l’enorme espansione in questo primo anno di vita, lo svolgimento di attività socialmente utili in cooperazione fra persone molto diverse fra di loro. Per fare degli esempi, possiamo  trovare persone di diversi partiti politici che agiscono  insieme per sensibilizzare i cittadini verso un miglioramento della democrazia, oppure persone carnivore e persone vegetariane che lavorano insieme a favore di una causa animalista.

SVILUPPARE SISTEMI DOVE NON CI SONO VINTI: Il Movimento si propone di promuovere e sviluppare dei metodi di lavoro basati sulla filosofia “win to win” come ad esempio creando dei network e “facendo rete”. La forza rivoluzionaria del fare rete rispetto alle altre forme di aggregazione sta nel fatto che ogni gruppo che partecipa ad un network mantiene la sua completa autonomia ed accresce il suo valore anche come singola persona o organizzazione. Il futuro sta nel liberare l'energia di ogni individuo e di ogni gruppo, e utilizzarla costruttivamente contribuendo al miglioramento sia individuale, sia della società vista nel suo insieme. Il Movimento infatti, incoraggia le attività a vantaggio personale che producano, però, anche effetti positivi a livello collettivo.

AGIRE SU OGNI PIANO: La causa dei problemi collettivi non è mai solo nei leader in cima alla piramide né solo nelle persone alla base che li votano. La società è lo specchio di ciò che siamo, è il prodotto di tutte le nostre interrelazioni quotidiane. Nessun cambiamento reale è possibile se non agiamo con una visione d’insieme su ogni piano: coordiniamoci, ognuno secondo le proprie possibilità, a migliorare noi stessi prima di tutto, poi i leader, quindi il sistema mediatico, economico e politico.



COME SI STA REALIZZANDO TUTTO QUESTO?

CON IL TUO AIUTO: Se sei interessato a fare parte del movimento (sia come membro del gruppo centrale di Roma, sia nelle varie attività in Rete) puoi contattaci per avere tutte le informazioni.

Il Movimento è ideato, fondato e gestito da Marco Canestrari e fa riferimento al suo Blog indipendente “Ecco Cosa Vedo”. E’ un Movimento non violento che promuove il rispetto per la vita in tutte le sue forme e per l'ambiente che ci circonda. ECV si struttura formalmente costituendo un’organizzazione senza scopo di lucro aperta a tutti. Ogni simpatizzante potrà supportarci semplicemente associandosi o anche collaborando attivamente in qualità di Socio Operativo.


COME ASSOCIARSI 


IL MOVIMENTO CHE INCORAGGIA LA COSTRUTTIVITA' - Ad ogni problema o sfogo sollevato facciamo proporre anche una soluzione d'insieme volta a costruire dei modelli migliori rispetto a quelli che si criticano, diffondendone i principi di base in maniera semplice e senza spostare il nocciolo del discorso sulle persone, dottrine, organizzazioni o partiti politici.

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente,
per cambiare qualcosa, costruisci un modello che renda la realtà obsoleta
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