venerdì 31 dicembre 2010

La Mente Silente

DI DANIELE SEGRETI

luna

La mente può essere considerata, come suggeriscono le più importanti tradizioni orientali, un fiume in piena  con migliaia di affluenti identificabili come la capillare canalizzazione dei nostri pensieri. Continuamente, tramite queste arterie eteree, viene riversato riempimento nel suddetto vaso-mente, rendendolo perennemente traboccante e mai sgombro ed atto a ricevere il sussurro del profondo sé.

A volte capita però, che si viva un momento, un solo istante, un attimo fuggente,  in cui la mente smette di riversare il suo effluvio di pensieri diventando profondamente silente. In queste rarissime occasioni, lo sproloquio mentale tace, il vaso resta vuoto per un brevissimo istante ed è possibile ricevere tutto ciò che vi è di più sfuggente ed intangibile al di là del pensiero. In questa precisa dimensione, ossimoricamente al di fuori del tempo, l’universo ci parla, in un linguaggio fatto di intento totale, coniugato ad un presente infinito. Tale momento rende possibile tutto, perché tutto è attuale e tutto è attuabile. Viene spontaneo chiedersi come sia possibile svuotare la mente-vaso, sempre così affollata di pensieri e congetture. La soluzione a questo dilemma è insita in ognuno di noi fin dalla nascita; rappresenta uno speciale stato dell’essere. Per comprendere appieno questa condizione si può ricorrere ad un esempio: lo stato d’animo della mente silente si avvicina moltissimo alla sensazione che si ha quando nella vita non vi è  più nulla da perdere!  In quel preciso istante non si teme più nulla, non si pensa più a nulla, non si ragiona più su niente, perché la mente è vuota; accetta semplicemente il qui ed ora, l’hic et nunc, si identifica e dissolve nell’adesso in  un presente infinito. E’ lapalissiano come sia difficile ricondurre questo non-stato nella vita di tutti i giorni.

Difficile però non significa impossibile; il solo tentativo di esercitare la facoltà dello svuotamento mentale porta di colpo a vedere, non solo a guardare, ad ascoltare non soltanto a sentire, divenendo, pian piano, un tutt’uno con l’infinito agente.

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giovedì 30 dicembre 2010

Non Dissentire con Serenità

DI MARCO CANESTRARI

Come si possono controllare le masse in un paese democratico? Certamente vanno limitati i dissensi da parte della popolazione. Ciò avviene principalmente tramite i canali di informazione ma soprattutto nei singoli deve essere stimolata e favorita una certa paura nel dissentire, non devono sentirsi sereni nell’esprimere il proprio dissenso.

C’è una forte differenza tra quello che i media propongono e la paura che viene avvertita dalla massa: infatti il leader che vuole controllare la popolazione si erigerà sempre a paladino della libertà e del confronto. Ma abbiamo visto che tramite le tecniche di controllo si instaurano dei meccanismi per cui il cittadino non ha la serenità, e si sentirà sempre più sicuro nel seguire il branco, perché tutto quello che va contro l’ideologia del regime non viene diffuso in massa e quindi è visto come “diverso” da quello che è il senso comune. Sarà richiesto un certo sforzo, addirittura un fastidio, per uscire dagli schemi abituali della massa, e il mettersi in gioco diventa così una difficoltà che il singolo non si sente di affrontare.

Un clima di divisioni e incertezze limita il peso della volontà dei cittadini a favore di chi impartisce le soluzioni dall’alto

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martedì 28 dicembre 2010

Lo Spirito dei Nostri Tempi

DI ENRICO GALAVOTTI

spirito

Lo spirito di quest'epoca è "sospensivo", ambiguo, aperto alle soluzioni più diverse, più contrapposte. Si ha la netta sensazione che da un momento all'altro possa accadere qualcosa di decisivo, sia nel bene che nel male. Si attende che la frustrazione peggiori, ma anche che qualcuno sappia reagire con fermezza e decisione (di qui, ad es., il clamoroso successo delle Leghe). Il grave è che ci si limita ad "attendere"...: pochi s'impegnano concretamente.

Questa vita borghese e consumista ci ha allenato così tanto all'individualismo e al fatalismo che anche di fronte alle pur gravi contraddizioni del nostro Paese, l'esigenza di lottare in maniera collettiva stenta incredibilmente a nascere. La popolazione sembra essersi abituata a qualunque scandalo, a qualunque violenza, sopruso e frode. Quasi ci vantiamo della nostra capacità di sopportazione. Pochi si rendono conto che l'indifferenza può essere vinta solo se si agisce in prima persona, solo se viene superata la tentazione di rassegnarsi (quella con cui ci allettano i vari individualisti e fatalisti). Non dobbiamo fare dell'altrui indifferenza un pretesto per giustificare la nostra. Anche perché la rassegnazione dei più non tranquillizza affatto la criminalità organizzata (legale e illegale) che da tempo ci affligge. E' illusorio pensare che la criminalità possa accettare di agire entro quei limiti che l'indifferenza le concede o che è in grado di sopportare. Di fronte alla rassegnazione, la criminalità -essendo il frutto di acute contraddizioni sociali- diventa ancora più ostinata e caparbia, più crudele -se vogliamo-, proprio perché si sente più forte, più legittimata. Invece di affrontare il disagio dei rapporti sociali ed economici con consapevolezza politica, con capacità di organizzazione e di resistenza, ci si lamenta che i poteri dello Stato sono inefficienti, quando lo stesso Stato è parte in causa della "criminalità nazionale".

In questi ultimi 20 anni, gli scandali sono stati così grandi che se non ci fosse stata la rassegnazione dei cittadini, i nostri politici al governo o sarebbero stati rovesciati, oppure, nel tentativo di affossare ogni indagine, da tempo avrebbero portato l'Italia a una repubblica presidenziale. Oggi hanno intenzione di farlo perché gli scandali hanno raggiunto il colmo e perché sanno di non poter abusare all'infinito della nostra pazienza.

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lunedì 27 dicembre 2010

Lavoro tra due Penisole e due Realtà

DI GIAMPAOLO DACCO’

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Molte aziende dei paesi scandinavi, soprattutto in Svezia, possiedono strutture adatte per venire incontro alle esigenze dei lavoratori. All'interno di queste grandi società prevalentemente di tipo terziario, aventi filiali in varie parti del mondo, esiste una realtà sociale all'avanguardia.

Sono stati inseriti ad esempio alcuni asili nido o nursery per sopperire il distacco fra il genitore ed il figlio, quando questi è troppo piccolo e non si hanno supporti famigliari o denaro a sufficienza per permettersi una baby sitter. Ci sono appartamenti dati in affitto con spese sostenibili in base alle esigenze famigliari, quindi  monolocali per una persona o bi-trilocali per famiglie in trasferta, comprese le coppie gay. Lavanderie e stirerie si trovano negli scantinati, evitando così spese di consumo individuali, vengono gestite dagli inquilini con orari e giorni per nucleo, la spesa viene equamente divisa dai componenti del caseggiato. Alcune grandi aziende hanno all'interno anche un centro ricreativo dopo-lavoro, spesso completo di palestra, sauna e sale lettura. Molti lavoratori provenienti da altri paesi europei, si sono adattati quasi immediatamente a quello standard di vita più sostenibile, trovandosi di fronte ad una realtà diversa da quella media di origine, nella quale si constatata un livello lavorativo e sociale di molto superiore al nostro. La mancanza di discriminazione sessuale di questa realtà scandinava va certamente presa in considerazione, per esempio un individuo dichiaratamente omosessuale che incontri il o la propria compagna di vita in azienda o in una delle società, queste si premuniscono di trasferire la coppia in un bilocale più adatto alle loro esigenze, senza pregiudizi di sorta.

Ciò che manca nella realtà lavorativa italiana sono queste basi alle quali ogni persona dovrebbe aver diritto, anziché sobbarcarsi di mutui ormai quasi inaccessibili ai più e spostamenti casa-lavoro allucinanti che possono durare anche diverse ore. Si dovrebbe garantire al lavoratore un’assistenza sociale degna, comprensiva di un’abitazione e tutela di figli, in questo caso lo stato mediante leggi appropriate, dovrebbe sovvenzionare incentivi ed aiuti a queste società, in modo che vengano tutelati gli interessi sia dei dipendenti che dei proprietari. Inoltre un contratto di collaborazione fra le aziende, in parte ammortizzerebbe questi costi di gestione con l’inserimento di strutture simile a quelle citate sopra, forse non si potrà pretendere un centro ricreativo all’interno della ditta ma si sopperirebbero le numerevoli difficoltà che un lavoratore va incontro ogni giorno. Ci si rende conto che non è un piano di attuazione a breve termine ma il nostro Paese ha bisogno di un cambiamento in questa direzione, la realtà lavorativa in cui viviamo non può più essere l’unica possibile ed è un  meccanismo che ormai non funziona più. Oggi questa è fatta solo di tagli alle categorie dei lavoratori ed alla scuola, rendendole ancor più deboli di quanto sono ora e sottraendo parte dei pochi diritti che sono stati guadagnati negli anni passati.

Ancor oggi il modello dei paesi avanzati non viene preso in considerazione, per cui non è garantita sicurezza e neppure un abitazione. Potrebbero sembrare richieste esagerate, ma se ci si pensa, queste sono le reali basi per una situazione lavorativa concreta ed adatta che ogni persona dovrebbe avere.  Una presa di coscienza collettiva di tutti noi lavoratori italiani potrebbe dare l’inizio di una svolta decisiva all’attuale problema dell’occupazione, mettendoci allo stesso piano del modello scandinavo, che altrimenti resterà solo una vana attesa.

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venerdì 24 dicembre 2010

Vivere nell'Attesa

DI DANIELA COIN

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Viviamo ormai in un perenne stato di attesa. Aspettiamo l'autobus, aspettiamo una telefonata. Aspettiamo la fine della giornata lavorativa, aspettiamo che nostro figlio cresca per poter andare in vacanza. Aspettiamo. Curarsi di vivere intensamente gli attimi presenti è un'emozione che abbiamo dimenticato. Non sappiamo neanche vagamente quali emozioni saremmo in grado di provare se solo sapessimo godere totalmente dell'attimo che viviamo, del presente che è.

Invece ci catapultiamo in avanti, minuti, secondi, immaginando cosa accadrà, sperando, aspettando. Aspettiamo che arrivi un ospite e ci predisponiamo a riceverlo. Magari in quel momento il nostro bimbo avrebbe voglia di giocare o dirci qualcosa, invece lo allontaniamo perché siamo troppo presi dall'ansia dell'attesa e da quello che verrà. Aspettiamo il mattino seguente, pensiamo al lavoro che dovremo fare il giorno dopo, ci organizziamo la giornata e magari pensiamo "Speriamo finisca presto che ho sonno e devo riposare per la giornata dura che mi attende domani" mentre facciamo l'amore con la persona che diciamo di amare. La amiamo perché con lei acquisteremo una casa, faremo dei figli, andremo in vacanza. A volte ci restiamo assieme perché sono anni che ci conosciamo, perché abbiamo progettato ogni cosa e i nostri genitori sono felici e non vedono l'ora di avere un nipotino. Ma il presente, il momento che stiamo vivendo, non lo assaporiamo perché siamo sempre mentalmente catapultati in avanti, o all'indietro. Non amiamo la persona con cui abbiamo scelto di condividere la nostra vita perché questa, in passato, ci ha mancato di rispetto. Non importa se oggi è la persona più premurosa e dolce, resta il fatto che, anni fa, ci ha fatto un gravissimo torto che non abbiamo mai perdonato. Mentre a volte si pensa alla persona con cui si sta condividendo la propria vita in questo momento, come a quella che ci aiuterà a pagare il mutuo della casa che si è sempre desiderata avere. In questo vai e vieni di pensieri che, nel presente non sono delle concrete realtà, è facile tralasciare la bellezza del momento reale che sta accadendo. La bellezza di un istante presente è qualcosa di unico che ci fa vivere in maniera cosciente e ci fa, soprattutto, imparare a realizzare ogni azione che decidiamo di concretizzare ora. Anche un evento terribile conserva, nel presente di quel momento, una bellezza innegabile.  Consapevolizzare ogni istante che, grazie al modo presente in cui lo viviamo, ci trasmette il messaggio in maniera completa, ci permette di "imparare la lezione". Ringraziare per i momenti belli, brutti, diventerà poi una conseguenza.

Una cosa è certa, chi vive nel presente e nella consapevolezza di ogni azione non si annoia mai. Non vive insoddisfatto e tende, piuttosto, ad essere sempre sereno e mai angosciato. Questo, va precisato, non significa che non dobbiamo fare progetti per il nostro futuro. Tutt'altro, un progetto costruttivo merita anch'esso l'attenzione del presente in cui lo si sta pensando, progettando e realizzando. Immaginare invece un progetto e catapultarlo nel futuro, spesso un futuro indefinito, ci allontana matematicamente dalla sua realizzazione.

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mercoledì 22 dicembre 2010

Soluzioni e Strategie Dove non ci sono Perdenti

DI MARCO CANESTRARI

Il movimento Ecco Cosa Vedo ha come principio fondamentale la Costruttività. Si propone infatti di stimolare una partecipazione sempre più diretta e consapevole verso le soluzioni d’insieme ai problemi comuni, liberando l’energia presente in ogni individuo e orientandola “a favore” della costruzione organizzata e sistematica di modelli migliori rispetto a quelli che si criticano.

Le linee guida di ECV, in controtendenza con le regole di base della maggior parte dei canali di diffusione e delle organizzazioni fortemente ideologizzate, hanno permesso, durante l’enorme espansione in questo primo anno di vita, lo svolgimento di attività a beneficio della collettività in cooperazione fra persone molto diverse fra loro. Si producono contenuti che siano il più possibili condivisibili, dimostrando l’efficienza e la fattibilità di metodi di lavoro che permettono di cooperare nella diversità e che fanno acquisire fiducia, credibilità e interesse da parte di individui di ogni classe sociale, politica, ideologica e religiosa, compresa l’enorme fascia degli scoraggiati, degli indecisi e dei rassegnati. Manteniamo un ambiente propositivo, costruttivo e fertile al cambiamento promuovendo e sviluppando una strategia basata sulla filosofia win to win”: miglioramenti utili a tutti dove non ci sono vinti.

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martedì 21 dicembre 2010

La Negatività è Innaturale

DI RAFFAELE BARBARO

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Una delle tecniche utilizzate dai media per manipolare le reazioni della società è l'uso continuo della notizia negativa. I titoli dei telegiornali e le notizie stesse che vengono date, sono piene di messaggi che ci inducono a diffidare di chiunque e a temere negozianti, operai, professori e persino i familiari. È una manovra che a lungo andare produce i suoi risultati, spingendoci a richiedere l’intervento di una forza “esterna”, se non proprio di un leader, che ci liberi da questa paura del prossimo.

Ecco che in questo modo la televisione continua a darci input di allerta continui. Quante volte i genitori rimproverano i figli di avere certe prudenze perché “Hai visto in tele quante se ne sentono”. È la dimostrazione che la televisione ci distrugge, costringendoci a vivere una vita che non appartiene all’essere umano. Noi siamo nati per amare, vivere, aiutare, abbiamo creato la musica, la pittura e le arti in genere. Se fossimo come la televisione ci descrive quotidianamente non avremmo mai ottenuto tutte queste cose. Prendete ad esempio i bambini; essi stringono amicizie più in fretta e non hanno paura di uscire per strada e giocare a pallone, se qualcuno gli offre una caramella la prima cosa che pensano è “Buona!” non “Quest’uomo vuole farmi del male”. La fiducia nel prossimo è naturale, la diffidenza no. La diffidenza è un sentimento che molte volte ci viene indotto bombardandoci continuamente con notizie di cronaca nera che sono l’eccezione ai comportamenti umani, non la regola. È proprio la frequenza con cui queste notizie ci vengono date che fanno accettare al nostro inconscio il fatto che tutti gli aerei finiscano per avere problemi al motore, che ogni automobilista sia un potenziale killer, che ogni prete sia pedofilo. Bisogna cominciare a vedere i telegiornali con giusto occhio critico. La cronaca nera non serve in un’informazione responsabile. Un telegiornale serio non racconta i dettagli di uno stupro o si prolunga nelle interviste ai parenti della vittima. Più che “cronaca nera” potremmo chiamarlo “gossip nero”. Un telegiornale professionale non fa tutto questo semplicemente perché queste notizie non sono rilevanti. Un cittadino bisognoso di un’informazione sana cerca notizie che riguardino i meccanismi che possano far riflettere su alcuni argomenti, come la politica o lo sport. Se questo cittadino poi volesse avere particolari su una determinata vicenda allora può andare lui stesso a cercarsi gli argomenti, magari su internet.

Costringere il popolo a seguire i dettagli di un omicidio o di qualche altro evento che non sia legato ai modi di fare comuni di una società, vuol dire solo costringere il popolo alla paura e all’apprensione. Una società che vuole progredire, che vuole vivere meglio, dovrebbe comportarsi come la natura umana impone. Una società che si rispetti ha fiducia nel prossimo, aiuta il prossimo, guarda lo sconosciuto come “nuovo” non come “pericoloso”. Una società che si rispetti deve avere soprattutto fiducia in se stessa.

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domenica 19 dicembre 2010

Mele Marce

DI FAUNO LAMI

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Il mondo è pieno di egoisti!” Mille volte capita di sentirci dire questa frase. Troppe volte abbiamo concentrato la nostra attenzione sulle debolezze e sui difetti delle persone che ci circondano, senza capire che questo atteggiamento ci logora.

Difatti non solo toglie energie a noi e a chi ci ascolta, scoraggiando qualsiasi iniziativa etica si avesse in mente di attuare, ma non permette nemmeno di focalizzare l’attenzione su una concreta risoluzione del problema alla radice. Se in un frutteto il contadino perdesse tutto il tempo ad eliminare le mele marce, anziché i parassiti, si ritroverebbe ben presto con un intero raccolto da buttare! Analizzando a fondo il mondo in cui viviamo è possibile risalire alle cause di tutti i mali della nostra epoca. Una volta acquisita una chiarezza totale è possibile agire per risanare questa condizione, senza sprecare energie a giudicare e criticare l’operato altrui. Certo, la tentazione è sempre forte. Per strada e sul posto di lavoro noteremo sempre l’individuo spregiudicato che si impone sugli altri con maleducazione, piuttosto che quello paziente e discreto. L’egoismo e l’avidità fanno un chiasso assordante e non passano mai inosservati. D’altro canto, la spiritualità e l’altruismo si fanno strada negli uomini in silenzio, senza clamore. Silenziosi tessitori dell’animo umano.

Alleniamoci dunque a concentrare la nostra attenzione sugli aspetti positivi dell’uomo. Su quei piccoli gesti che vale la pena conservare e che vale la pena difendere. Oltrepassiamo le barriere ed iniziamo a guardare attentamente i fili invisibili che ci uniscono gli uni con gli altri.

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giovedì 16 dicembre 2010

Accorgiamoci del Condizionamento

DI JIDDU KRISHNAMURTI

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In tutti noi c'è la tendenza a sopportare le cose, ad abituarci ad esse, a darne la colpa alle circostanze. "Ah, se le cose andassero bene sarebbe diverso", diciamo; oppure, "Datemi l'opportunità ed io realizzerò i miei sogni"; oppure, "Sono distrutto da tutta questa ingiustizia", dando sempre la colpa dei nostri problemi ad altri o all'ambiente o alla situazione economica. Se ci si abitua a questo turbamento vuol dire che la propria mente è diventata ottusa, proprio come succede quando ci si abitua talmente alla bellezza che ci circonda da non esserne più colpiti.

Si diventa indifferenti, duri e incalliti, e la propria mente diventa sempre più ottusa. Se non riusciamo ad abituarci ad esso tentiamo di fuggirlo prendendo la droga, aderendo a un movimento politico, vociando, scrivendo, andando a vedere una partita di pallone o andando in un tempio o in una chiesa o trovando altre forme di divertimento. Per quale motivo fuggiamo dai fatti reali? Abbiamo paura della morte consideriamolo un semplice esempio e inventiamo ogni possibile teoria, speranza, fede, per mascherare il fatto della morte, ma la morte è sempre li. Per comprendere un fatto dobbiamo fronteggiarlo, non fuggirlo. Molti di noi temono la vita quanto la morte. Temiamo per la nostra famiglia, abbiamo paura della pubblica opinione, di perdere il lavoro, la sicurezza, e centinaia di altre cose. Il semplice fatto è che siamo spaventati, e non che siamo spaventati da questo o quello. Perché dunque non possiamo fronteggiarlo? Potete fronteggiare qualcosa solo nel presente, e se non gli permettete di essere presente perché voi lo state sempre fuggendo, non potrete mai fronteggiarlo, e poiché abbiamo ideato un intero sistema di fuga restiamo intrappolati nell'abitudine di fuggire. Ora, se siete veramente sensibili, veramente seri, sarete consapevoli non solamente del vostro condizionamento ma anche dei pericoli in cui esso si risolve, e delle brutalità e odio che esso genera. Perché dunque se vedete il pericolo che deriva dal condizionamento, non agite? È forse perché siete pigri, come se la pigrizia fosse mancanza di energia? Tuttavia non vi mancherebbe l'energia se vedeste un immediato pericolo fisico, come un serpente sul sentiero, o un precipizio, o un incendio. Perché dunque non agite quando vedete il pericolo che deriva dal condizionamento? Nel caso che vi rendeste conto che il nazionalismo è un pericolo per la vostra sicurezza, non agireste? La risposta è che non vedete. Vi potreste accorgere che il nazionalismo conduce all'autodistruzione attraverso un processo di analisi intellettuale, ma non vi sarebbe alcun contenuto emotivo. Diventate vitali solamente quando c'è un contenuto emotivo.

Se vedrete il pericolo del vostro condizionamento solo come un concetto intellettuale non farete mai niente. Nella visione del pericolo come semplice idea sorge un conflitto tra l'idea e l'azione e quel conflitto vi priva della vostra energia. È solo quando vedete immediatamente il condizionamento e il pericolo che ne deriva, come se vedeste un precipizio, che agite. Così vedere è agire. Molti di noi camminano nella vita disattenti, reagendo senza pensare, in conformità con l'ambiente in cui sono cresciuti, e simili reazioni generano solamente ulteriore schiavitù, ulteriore condizionamento, ma nel momento in cui presterete totale attenzione al vostro condizionamento vedrete che siete completamente liberi dal passato, che esso se ne scorre via naturalmente.

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Le Manifestazioni Devono essere Percepite come Dannose e Pericolose

DI MARCO CANESTRARI

La Paura è uno degli aspetti fondamentali presente in tutte le forme conosciute di controllo politico ed economico. La massa, per essere manipolata, deve percepire costantemente una situazione di minaccia fino a reagire in cerca di maggiore protezione. Accetteremo di aumentare il potere del leader, di promuovere le forze dell’ordine e militari, anche rivalutando la loro immagine tramite la televisione e i media.

Una volta che deleghiamo al leader sempre più potere di controllare e reprimere con la forza, non abbiamo più la facoltà di diversificare la delinquenza, dal dissenso verso il regime. Così il potere che abbiamo tanto voluto accentrare nelle mani di chi ci comanda, viene usato per forzarci a non generare proteste né idee dannose al regime. Le manifestazioni vengono presentate da “inutili carnevalate” fino a “strumenti di guerriglia”. In TV vengono fatti vedere i danni causati dalla violenza dei manifestanti, i passanti colpiti, il bambino che piange, e spesso, i poliziotti feriti. La massa deve sentirsi spinta a chiedere maggiore forza dalle autorità competenti e deve concludere che manifestare non conviene ed è pericoloso, perché può trovarsi facilmente invischiata nella giusta reazione delle forze dell’ordine verso la violenza e l’inciviltà di chi manifesta. Si diffonde la paura di esprimere il proprio dissenso in pubblico, anche singolarmente. Scioperi e manifestazioni vengono resi virtuali o presentati come fonte di disagio per il paese, si evidenzia l’aspetto dannoso e stressante della mancanza del servizio piuttosto che spiegare le ragioni della protesta.

"Non credo che i governi intendono fare qualcosa per porre fine alla paura, La paura è un capitale tremendo per i politici ed i mercati commerciali." - Z. Bauman 2008

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martedì 14 dicembre 2010

La Droga del Capitalismo

DI ENRICO GALAVOTTI

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Il capitalismo è un sistema malato perché produce anzitutto per accumulare, non per soddisfare i bisogni sociali. In questo senso quando si parla di "consumismo" bisogna riferirsi solo all'aspetto più esteriore del fenomeno, non a quello essenziale. Il consumismo di massa esiste perché pochi imprenditori privati vogliono accumulare molto più di quanto l'azienda abbia bisogno per riprodursi, anche se oggi certe aziende hanno raggiunto dimensioni tali che per riprodursi necessitano di tanti capitali quanti nessun singolo imprenditore è in grado di disporre.

Di qui la necessità di lavorare accumulando debiti colossali che si spera di poter coprire con l'intervento dello Stato o lasciandosi assorbire da aziende ancora più grandi. Non a caso la sovrapproduzione connessa alla miseria è una caratteristica tipica di questo sistema. In Occidente la miseria è relativamente poco visibile perché siamo riusciti a "esportarla" nei paesi del Terzo mondo, facendo pagare alle loro tasche il costo del nostro benessere. Dunque la malattia che, da almeno mezzo millennio, ha intaccato la coscienza occidentale è quella dell'accumulazione, cioè del profitto per il profitto. Si tratta di una vera e propria "dipendenza" da una droga. Ne vanno esenti, ovviamente, quelli che vengono spogliati dei loro beni per pagare la "droga" degli altri, a meno che la religione o una qualche illusione borghese non riesca a convincerli che è bene rassegnarsi, vivere alla giornata, sperare nell'aldilà, darsi alla malavita, ecc.: in questo caso bisognerebbe parlare di "effetti collaterali" al più generale fenomeno della "droga da profitto". In un contesto del genere è impossibile non chiedersi a cosa possono servire le rivoluzioni socialiste. I più infatti danno per scontato che il sistema borghese sia immodificabile, al massimo sono disposti ad accettare l'idea di migliorarlo. I fatti invece portano alla conclusione che il crollo del capitalismo è inevitabile, in quanto la sua sopravvivenza si regge unicamente sullo sfruttamento dei lavoratori (soprattutto quelli del Terzo mondo): il che -come ognuno può facilmente immaginare- non potrà durare in eterno. Se si parte da questo presupposto si comprende meglio l'utilità delle rivoluzioni socialiste. Esse servono appunto per accelerare il più possibile il crollo del capitalismo, impedendo che il capitalismo si rafforzi e che, nel suo crollo, coinvolga l'intera umanità. Ovvero esse servono per dimostrare che un'alternativa esiste e che il crollo non sarà la fine di "tutto". Le rivoluzioni socialiste vanno fatte là dove vi è la necessità di farle, là dove le contraddizioni sono esplosive ed è altresì forte la consapevolezza e l'organizzazione politica delle masse.

I tempi per queste rivoluzioni sono maturi da quando è nato il capitalismo: non c'è bisogno infatti di aspettare le recessioni, le depressioni o le crisi per capire che questo sistema ha una logica perversa, che lo porta a una progressiva disumanizzazione. Tuttavia, per capire il senso di tale logica e la necessità del suo superamento, occorre un paziente lavoro di sensibilizzazione, di persuasione, sulla base di esempi molto concreti. La realizzazione effettiva degli obiettivi rivoluzionari, poiché soprattutto dipende da fattori di tipo "soggettivo", deve tenere in grande considerazione la consapevolezza politica delle masse.

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lunedì 13 dicembre 2010

Malattie Riflesse

DI GIANPAOLO MARCUCCI

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Oggi milioni di persone combattono per sopravvivere alla malattia che più di tutte sta mettendo in ginocchio l'uomo occidentale: il cancro. Uomini e donne di qualsiasi età, classe e ceto sociale, si trovano a dover entrare in un viaggio che li conduce inesorabilmente verso una morte prematura, consapevoli del fatto che nulla possa con certezza aiutarli.

Questo è oggetto di paura e sofferenza per molti, tanto che anche solo il parlare di questa malattia orrenda è divenuto un taboo quasi tribale. Talvolta non la si riesce neanche a nominare. Ci siamo mai fermati però a ragionare su cosa sia? Su come agisca? Ci siamo mai fermati a riflettere sul cancro con semplicità e spirito d’analisi? Chi lo ha fatto l’ha definito come la manifestazione di cellule impazzite che distruggono il corpo che lo ospita. Bene, da qui, io credo che debba partire una riflessione fondamentale. L’uomo, da un paio di secoli a questa parte, accecato dall’idea che l’accumulare denaro a qualsiasi costo sia l’unico scopo da avere nella propria vita, ha cominciato a separarsi sempre più dalla sua natura. Se ci guardassimo attentamente, ma da lontano, dalla luna ad esempio, cosa vedremmo davvero? Inquinamento atmosferico e delle acque, sfruttamento estremo delle risorse terrestri, utilizzo di prodotti tossici nel ciclo di produzione, menefreghismo nei confronti dell’ambiente, brutalità nei confronti degli animali, nevrosi, ansia, depressione, comportamenti auto ed etero-distruttivi. L’uomo, da un paio di secoli a questa parte, è divenuto una cellula impazzita che distrugge il pianeta-corpo che lo ospita. La razza umana si ammala di cancro perché il pianeta si è ammalato di cancro, e il cancro del nostro pianeta, siamo noi.

Solo quando capiremo di non essere separati dal resto degli elementi che compongono il corpo che ci ospita e custodisce, la terra, di essere singole cellule di un unico grande organismo, potremo finalmente trovarci in armonia con noi stessi e con ciò che ci circonda.

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domenica 12 dicembre 2010

Uscita di Sicurezza

DI BEATRICE CONSIGLI

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La Libertà, come la Felicità, sono concetti astratti forgiati dal desiderio insito nell’essere umano mosso forse, chissà, da un ancestrale ricordo. L’uomo nasce schiavo, mentre l’utopia della Libertà serpeggia nei salotti bene, nelle università, nelle fabbriche, nelle famiglie da che mondo è mondo.

Eppure, l’uomo libero non esiste. Non esiste perché nasce già in una società preformata che lo induce fin dal primo istante: quello in cui esso viene partorito. Il percorso è breve ed intenso: i condizionamenti di pediatri, puericultori, educatori, insegnanti, sacerdoti, genitori, forgiano quest’esserino nel profondo della psiche. Quando questa vittima predestinata alle catene è pronta, entra nella società. E qui lo abbiamo perso, come si dice nei migliori film americani di pronto soccorso ospedaliero. Qui egli si smarrisce definitivamente in un labirinto di induzioni potentissime: come ci si veste, come ci si comporta, cosa si studia e perché, quanti soldi dobbiamo avere e come arredare casa, come parlare e scrivere, che auto acquistare, come votare. Fino a raggiungere il massimo del suo squallido fulgore nella scelta puramente estetica del compagno/a da avere accanto. Intanto, la Libertà muore prima di nascere, patetico aborto di un’utopia. Ed anche chi, ieri, inneggiava all’ideologia politica quale unica possibilità d’esprimere se stessi ed il proprio stare al mondo, adesso ha smarrito quell’ultima via d’uscita. Oggi la politica è schiava, ed i politici servi, delle multinazionali, del denaro, del potere economico mondiale. E allora, resta un pertugio, un piccolissimo e difficilmente individuabile piccolo foro da dove passare per uscir fuori, per respirare l’aria pulita e fresca, l’aria di libertà: la scelta ragionata, non più politica ma etica. Ovvero, non sceglier più chi sarà vassallo in nome nostro del denaro, che poco ci tange, ma cosa comprare, come vestire, cosa dire, che vita percorrere. Un passo indietro, scordando la politica ormai sul letto di morte, e porgendole un dovuto, ultimo pensiero, per poi prendere in mano la propria vita nelle quotidiane decisioni. Quelle piccole, quasi invisibili, ma che ci permettono di riappropriarci della libertà di pensiero che ci apparterrebbe, seppur relativa.

Perché l’unica libertà a cui possiamo accedere è quella nostra intima, interiore, quella generata dalla ricerca di un equilibrio rispettoso tra bisogno ed offerta, quella che ricomincia a decidere quali scarpe comprare o con quali occhi guardare il proprio vicino. Quella che davvero ci permette d’esercitare il libero arbitrio, figlio legittimo e reale, dell’utopica Libertà.

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giovedì 9 dicembre 2010

Adolescenti Questi Sconosciuti

DI DANIELE  SEGRETI

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Possiamo tutti noi renderci conto, parlando con i ragazzi più giovani, che la maggior parte di essi è sostanzialmente insicura. Nella sua forma espressiva però, tale insicurezza, va a cozzare pesantemente con la loro apparente spregiudicatezza, palesata nel modo di esprimersi, vestire e socializzare. I giovanissimi spesso hanno una famiglia moderna che, in larga parte, permette loro moltissime cose. Per questo motivo, non essendo abituati a privazioni e durezze, ogni ostacolo, pare loro insormontabile.

Tale situazione di debolezza può essere causata da come vengono imposti loro i modelli dai media, ragazzi e ragazze esteticamente perfetti, ricchi, famosi e pressoché irraggiungibili. Questi termini di paragone, causano moti di sfiducia tali da sembrare inutile qualsiasi approccio consapevole e illuminato alla vita. Spesso infatti si sente dire: "se quel calciatore o quella velina guadagnano montagne di denaro senza aver mai studiato o letto un libro perché mai dovrei impegnarmi nel cercare un significato profondo delle cose?". Tale insicurezza, che possiamo interpretare come una silenziosa richiesta d’aiuto, cercano di compensarla attraverso un attaccamento morboso a pseudo-amicizie in un tourbillon di frequentazioni, anch’esse superficiali, utili solamente ad identificarsi in un’omogenea esteriorità. La bellezza è l’ossessione. Ogni difetto fisico che discosta dal modello televisivo perfetto, è visto come uno scoglio tremendo, da qui l’ampio ricorso alla chirurgia estetica, soprattutto tra le ragazze adolescenti. Illustri specialisti si chiedono il motivo della marcata diffusione di mali “oscuri” quali anoressia, bulimia e depressione, senza accorgersi che i media creano l’humus dove queste patologie proliferano. Ragionando sull’evoluzione della famiglia nel tempo, si palesa un curioso paradosso del nucleo familiare moderno: genitori più severi, che avrebbero dovuto inibire maggiormente i loro figli, crescevano persone più sicure, probabilmente perché la responsabilità della crescita adolescenziale era delegata al genitore che diventava spesso capro espiatorio nel momento in cui le aspettative venivano disattese. Oggi che la libertà per i giovanissimi è massima -anche a causa della separazione tra i genitori o perché lavorano entrambi tutto il giorno- essi si trovano senza alcuna guida, artefici del loro destino, vittime e carnefici allo stesso tempo. Noi, in qualità di adulti, siamo chiamati al difficile compito di riuscire a ricreare modelli credibili ed oggettivi che vadano pian piano a sostituire, i dannosi esempi imposti dai media. Per operare in tal senso, ognuno di noi deve formare nella sua esistenza, un percorso di crescita personale atta a rappresentare un modello per i giovanissimi con cui entriamo in contatto quotidianamente.

Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro - Bob Dylan

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I Media Sono un Valore Sociale

DI MARCO CANESTRARI

In un mondo in cui il controllo dell’informazione è una fonte di potere incommensurabile, dove i mass media si accaparrano sempre di più la funzione di “educatori della società”, impegnarsi nel facilitare a tutti l’acquisizione di una maggiore consapevolezza individuale e sociale, diviene non già solo un compito importante da svolgere, ma una vera e propria necessità da soddisfare. Il Movimento ECV si propone di agire nella direzione di compensare la mancanza di eticità propagata dai mass media, che promuovono modelli di vita in cui si tende a massimizzare la visibilità ed il guadagno economico, trascurando invece una visione d’insieme completa e sensibile della vita. Incoraggiamo la promozione e lo sviluppo di qualsiasi tipo di strumento di comunicazione su scala mondiale che favorisca un’interazione sempre più fitta, libera, diretta e senza filtri fra gli individui del pianeta. Perché lo sviluppo dell'intelligenza avviene attraverso lo scambio dell'informazione.

ECV si propone di sensibilizzare la popolazione verso la consapevolezza che le strutture mediatiche e della comunicazione siano un valore sociale, ad esigere quindi che abbiano anche una funzione educativa, favorendo un ambiente fertile alla presa di coscienza, che possa gettare le basi per una naturale evoluzione collettiva sempre più orientata alla creazione di scelte consapevoli.

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domenica 5 dicembre 2010

L'Impero del Consumo

DI EDUARDO GALEANO

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L’esplosione del consumo nel mondo attuale crea più rumore di tutte le guerre e le armi, più confusione di tutti i carnevali. Come dice un vecchio proverbio turco, chi beve mettendo sul conto, si ubriaca il doppio. La cultura del consumo suona molto come il tamburo perché è vuota; e all’ora della verità, quando il rumore si ferma e la festa è finita, l’ubriaco si sveglia, solo, accompagnato dalla sua ombra e dai piatti rotti che deve pagare. Il diritto allo spreco, privilegio di pochi, dice di essere la libertà di tutti. Dimmi quanto consumi e ti dirò quanto vali.

Questa civiltà non lascia dormire i fiori, né le galline, né le persone. Nelle serre i fiori sono sottomessi alla luce continua, così crescono più veloci. Nelle fabbriche di uova, anche le galline hanno il divieto alla notte. E la gente è condannata all’insonnia, per l’ansia di comprare e l’angoscia di pagare. Questo modello di vita non è molto buono per le persone, ma è molto positivo per l’industria farmaceutica. Gli USA consumano la metà dei sedativi, ansiolitici ed altre droghe chimiche che si vendono legalmente nel mondo, e più della metà delle droghe vietate che si vendono illegalmente, che non è una cosa da poco se si tiene conto che gli USA sono  appena il cinque per cento della popolazione mondiale. Il mondo intero tende a trasformarsi in un grande schermo televisivo, dove le cose si guardano ma non si toccano. Il campionato mondiale di calcio ci hanno confermato, tra le altre cose, che la carta di credito della Master Card tonifica i muscoli e che la Coca Cola dona eterna giovinezza e che il menù di McDonald’s non può mancare nello stomaco di un buon atleta. Le masse consumatrici ricevono ordini in una lingua universale: la pubblicità è riuscita in ciò che l’ Esperanto ha provato e fallito. Chiunque capisce, in qualsiasi posto, i messaggi che la TV trasmette. Nell’ultimo quarto di secolo, le spese della pubblicità si sono duplicate nel mondo. Grazie a queste, i bambini poveri bevono sempre più coca cola e sempre meno latte, e il tempo dell’ozio si trasforma in tempo di consumo obbligatorio. Tempo libero, tempo prigioniero: le case molto povere non hanno un letto, ma hanno una TV, e la TV ha la parola. Comprando a rate, questo animaletto prova la vocazione “democratica” del progresso: non ascolta nessuno, ma parla a tutti. Poveri e ricchi conoscono, così, le virtù della macchina ultimo modello, e poveri e ricchi vengono a sapere dei vantaggiosi tassi d’interesse che questa o quell’altra banca offrono. La cultura del consumo, la cultura dell’effimero, condanna tutto al disuso mediatico. Tutto cambia al vertiginoso ritmo della moda, messa al servizio del bisogno di vendere. Le cose invecchiano in un battito di ciglia, per essere sostituite con altre di vita fugace.

Oggi tutto ciò che resta è l’insicurezza, le merci, costruite per non durare, risultano così volatili come il capitale che le finanzia ed il lavoro che le crea. Il denaro vola alla velocità della luce: ieri era là, oggi è qui, domani chi lo sa, e ogni lavoratore è un disoccupato potenziale. Paradossalmente, i centri commerciali, regni della fugacità, offrono l'illusione di maggior successo di sicurezza. Essi resistono fuori dal tempo, senza età e senza radice, senza notte, senza giorno e senza memoria, ed esistono fuori dallo spazio, oltre le turbolenze della pericolosa realtà del mondo.

Tradotto da Vanesa.

FONTE: VISIONES ALTERNATIVAS

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venerdì 3 dicembre 2010

Pensare per non Sentire

DI DANIELA COIN

Ego%EDsmo

"Ma io la tv non la guardo, la tengo solo accesa perché mi fa compagnia". Pensare, ascoltare, tenere costantemente il cervello impegnato, è diventato il solo modo per evitare di sentire. Chi si butta sul lavoro creandone un motivo di vita. Chi si concentra totalmente sullo studio. Chi si getta sui figli o sugli animali d'affezione. Chi sulla politica, sullo sport, creando reazioni ossessivo-compulsive. Lo scopo è sempre quello di riempire un vuoto per non ascoltare la nostra anima.

Ascoltare, udire, non significa necessariamente capire, consapevolizzare. Sentire, percepire, è ciò che inconsciamente invece temiamo. A volte, ascoltare percependo realmente i vari stimoli, interni od esterni, può essere più difficile di quanto si creda. Disabituati fin dall'infanzia, ormai, è una pratica talmente poco diffusa quella del sapersi ascoltare che, chi lo fa e ne trae degli spunti di consapevolezza, viene considerato una persona fuori dalla norma e spesso viene preso ad esempio diventando perfino una guida spirituale per chi sta, in un qualche modo, cercando di intraprendere un percorso di consapevolezza. Noi nasciamo tutti con un dono, una scatola vuota. La scatola delle percezioni. Questa scatola funziona ad una sola condizione, dev'essere vuota il più possibile. Più noi la riempiamo di convinzioni, dogmi, teorie, obblighi, falsi impegni, divertimenti fittizi, intrattenimenti cerebrali, più questa scatola smette, poco a poco, di esercitare la sua funzione. Il risultato è quello che siamo. Esseri spesso incapaci di cogliere le sfumature della vita, le espressioni di gioia o di tristezza del nostro animo o delle persone che ci stanno intorno. Occupiamo, affannati, lo spazio a nostra disposizione perchè, quello che sentiremmo lasciando la scatola vuota, sarebbe la vera percezione della realtà. Un eco che ci descrive quello che siamo e quello che abbiamo intorno. E quando la realtà risulta scomoda da accettare, più facile è dunque sommergerla sotto a decine di rumori ed impegni che non ci fanno ascoltare quella vocina che rimbomba dentro la scatola, raccontandoci quello che siamo e quello che potremmo essere.

Potremmo essere degli essere splendidi, dotati di sensibilità, di gioia e di amore da dispensare. Potremmo essere in grado di curare le nostre malattie, di comprenderne la reale causa e di risolvere i problemi che ci affliggono, siano essi spirituali, mentali o fisici. Potremmo diventare persone nuove, creature che non infliggono sofferenze ad altri esseri viventi. Potremmo renderci capaci di amore puro, di donare senza pretendere nulla in cambio. Di godere del sole e della pioggia allo stesso modo. Di vivere la spiccata gioia e l'intensa tristezza, dandone il giusto peso e il giusto spazio. Senza lasciare che nessuna di queste due emozioni ci rapisca e ci renda illusoriamente schiavi. Lasciando la scatola vuota, possiamo percepire liberi da condizionamenti. Cessare l'atteggiamento indotto da decine di fattori esterni ed essere, finalmente, persone vere.

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mercoledì 1 dicembre 2010

Cooperiamo Insieme per Cambiare le Regole

DI MARCO CANESTRARI

Nelle tecniche per il controllo delle masse l’influenza di chi detiene il potere sui media è fondamentale: essi infatti filtrano e controllano le informazioni a cui ha accesso la massa, manipolando il consenso della popolazione e rendendola sempre meno consapevole e più facilmente influenzabile dai modelli proposti.

Si mettono così in letargo le capacità di discernimento e il senso critico del singolo, che si ritrova isolato e confuso. Come uscire da questo circolo vizioso? Smettiamo di reagire ai temi proposti dai media e iniziamo noi stessi, in prima persona, a scegliere i temi più importanti e portiamoli avanti. Possiamo decidere se rimanere nel niente di nuovo o se costruire qualcosa di diverso. Ciò che conta è la soluzione e non la persona: insegniamo a giudicare le soluzioni, senza frenarle, indipendentemente da chi le porta avanti. Sono le basi che vanno rivalutate, iniziamo a partecipare, cambiamo le regole. Favoriamo le condizioni che permettano di cooperare insieme per cambiare il sistema, e solo dopo potrà essere utile esprimere le nostre differenze ideologiche.

Se un sistema non da sufficiente peso alle soluzioni proposte dal basso, bisogna prima cooperare per cambiare quel sistema.

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