lunedì 28 febbraio 2011

La Libertà di Che Cosa?

DI MARCO CANESTRARI

Nei Paesi Democratici Controllati la popolazione non deve mai avere sentore di mancanza di libertà. Al contrario il concetto di libertà viene massimizzato, non deve mai mancare la sensazione di essere liberi. Ma liberi di fare cosa?

Alla  massa vengono presentate informazioni e modelli preconfezionati, in modo da circoscrivere le scelte: le domande vengono fatte in modo da avere la sicurezza delle risposte. Siamo dunque liberi di tifare, liberi di combattere, liberi di reagire. Quello che manca è la facoltà di proporre. C’è grossa differenza tra proporre e reagire: nei regimi controllati la libertà è quella di reagire, mentre viene a mancare la libertà di proporre, aggregare le idee e di realizzarle.

 

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Il Momento Giusto per Cambiare

DI ENRICO GALAVOTTI

cambiamento

Nei vangeli esistono parabole molto suggestive per indicare i comportamenti da tenere nei casi di transizione politica. P.es. quella delle dieci vergini, cinque delle quali si preoccupano di tenere accesa la lampada della speranza, nell'attesa dello sposo. Ma esistono anche affermazioni di tipo profetico che i sinottici han voluto attribuire al Cristo, per quanto il loro contenuto non sia in sé anti-rivoluzionario: "Vegliate perché non sapete in quale giorno il messia verrà"(Mt 24,42) e simili. In tutte le piccole apocalissi evangeliche la necessità di compiere una insurrezione anti-romana viene sostituita col dovere di attendere fiduciosi il giorno del giudizio universale.

Forse l'argomentazione più significativa, in tal senso, è offerta dal vangelo di Giovanni, allorché il Cristo, rivolto ai suoi parenti, che gli chiedevano di esporsi in Giudea, risponde: "Per voi che vivete secondo il principio del tanto peggio tanto meglio, ogni occasione è buona"(Gv 7,6). Per un essere umano è molto difficile stabilire il momento in cui è possibile che avvenga un cambiamento significativo delle cose, che non vuol dire ovviamente "saper sfruttare l'occasione della propria vita", ma saper vedere questa occasione come un'opportunità generale, che non riguarda solo una vita individuale, anche perché nelle società basate sui conflitti di classe, sugli antagonismi sociali, spesso le occasioni individuali vengono usate a titolo di rivalsa personale, senza tener conto degli interessi altrui. Noi misuriamo lo scorrere del tempo sulla base della nostra esperienza, ma per poter avere una percezione obiettiva del tempo, bisognerebbe che l'esperienza fosse la più possibile condivisa. Un'esperienza individuale o familiare o di piccolo gruppo non è di molta utilità per avere il polso della situazione. Il tempo ha delle pretese che solo un popolo può soddisfare, anche perché i tempi sono sempre incredibilmente lunghi, in grado di andare ben oltre l'esistenza di individui singoli.

Le masse si muovono solo quando convinte che un certo modo di vivere la vita ha concluso il suo tempo. Occorre una percezione collettiva del problema, un sentire comune. Le masse si muovono quando smettono d'illudersi che un determinato tipo di esistenza possa continuare a essere sopportato. Ma perché sorga questa convinzione occorrono situazioni disperate, di gravissima crisi. Non bastano le contraddizioni, i conflitti, gli antagonismi: ci vuole la disillusione, cioè la convinzione che se non si fa qualcosa di completamente diverso, si perde solo tempo, si rende il problema ancora più irrisolvibile. Quelli sono i momenti in cui le masse, per prendere decisioni epocali, hanno bisogno di essere guidate da leader intelligenti e coraggiosi, dotati di senso tattico e strategico, capaci di organizzazione politica e persino militare (poiché bisogna sempre tenersi pronti a difendere le conquiste rivoluzionarie), insomma leader all'altezza della situazione, consapevoli del momento cruciale. E' così che nascono le svolte epocali. Per questo la storia potrebbe essere studiata solo a partire dalle rivoluzioni, che sono un concentrato di tutti i problemi di un'epoca e dei tentativi messi in atto per risolverli. Tra una rivoluzione e l'altra il compito è soltanto quello di porre le condizioni perché la transizione avvenga nel miglior modo possibile, cioè rispettando le esigenze più vere, quelle più generali, possibilmente senza spargimento di sangue. La lotta diventa tra speranza e disperazione, in attesa che giunga il momento decisivo: la speranza di chi vuole uscire dalla disperazione, la disperazione di chi non vuole uscire dai propri privilegi.

Siamo noi che diamo alle cose il loro senso e il loro tempo, e quando il tempo non dà più senso alle nostre cose, è ora di cambiarlo

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mercoledì 23 febbraio 2011

Responsabilità Limitata

DI RUGGIERO LAURIA

responsabilità

Un politico sperpera i soldi dei contribuenti, un' industria inquina l'ambiente, un passante assiste ad un furto e fa finta di non vedere, una persona va al supermercato e compra un prodotto senza sapere come e da chi è stato prodotto, un elettore vende il suo voto per 50 euro, le assicurazioni fanno cartello ed alzano i canoni, i benzinai aumentano il prezzo dei carburanti prima dei grandi esodi, un automobilista getta una bottiglia dal finestrino, un padrone abbandona il suo cane. Tutti gesti apparentemente sconnessi ma in realtà dettati dallo stesso atteggiamento, miope ed egoistico, limitare la sfera delle proprie responsabilità senza approfondire le ripercussioni che le nostre azioni, o omissioni, hanno sugli altri.

A volte non è facile perché viene volutamente alzata una cortina di fumo per impedire ad informazioni pericolose di circolare; certo ad una banca non fa piacere che si sappia che investe il denaro raccolto in armi e finanziando guerre, o ad una famosa casa d'abbigliamento che le proprie fabbriche sono state opportunamente impiantate in paesi sottosviluppati dove c'è grande disponibilità di lavoro minorile a bassissimo costo, o anche ad un allevatore di pollame che ha spostato gli allevamenti in estremo oriente per poter utilizzare farine alimentari che qui in Italia erano vietate, e la lista è molto ma molto lunga. In realtà informarsi è stancante e poi quel pollo costa così poco,  quelle fantastiche scarpe da ginnastica hanno  un prezzo davvero stracciato ed i titoli della mia banca hanno avuto un ottimo rendimento quest'anno. E così diventiamo praticamente complici e quando vediamo gli orrori della guerra, comodamente seduti sulla nostra poltrona, o quei poveri bambini, strappati ai loro giochi per ammazzarsi di lavoro 18 ore e guadagnare meno di un dollaro al giorno non ci rendiamo conto che siamo noi, in prima persona, a consentire che questo accada. Questa gente conta sulla nostra inerzia, sulla nostra pigrizia, sulla nostra avidità, sul nostro egoismo, perché se così non fosse finirebbe tutto, il meccanismo si fonda su questo.

Ma ricordiamoci che ogni problema porta con sé anche la sua soluzione, produce delle controreazioni ed alla fine la nostra comoda poltrona, non sembra più essere tanto comoda, perché fa comunque parte di una casa, che sta in un palazzo, che sta in una città, che sta in una nazione, che sta nel mondo, e quando questa povera gente viene a bussare alle nostre porte per reclamare la sua parte di benessere, disposta a tutto pur di averla, è difficile rimanere trincerati a lungo. E quando i nostri vicini di casa restano senza lavoro perché c'è la globalizzazione, le nostre buste della spesa stracolme e il nostro splendido SUV vengono guardati con occhi iniettati di sangue. Quando una città si trova sommersa dalla spazzatura, qualcuno deve pur prendersele le proprie responsabilità perché è difficile continuare a fare finta di niente. Anche singolarmente possiamo fare moltissimo se iniziamo a prenderci le nostre responsabilità, informandoci possiamo a nostra volta diventare vettori di preziose informazioni; con il nostro esempio possiamo gettare il nostro piccolo ponte verso l'altra sponda ed insegnare ad altri come si fa. Impegniamoci, informiamoci e condividiamo con gli altri, facciamo in modo che le nostre idee si trasformino in azioni concrete in modo che sia più facile imitarci.

Prendiamoci le nostre responsabilità prima che le nostre irresponsabilità vengano a prendere noi

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lunedì 21 febbraio 2011

Il Mondo Nuovo

DI CHRIS HEDGES

pillolarossa

Due grandi rappresentazioni di un futuro scenario distopico furono “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley. Il dibattito, tra coloro che supponevano si stesse andando incontro al totalitarismo corporativo, si incentrava su chi dei due avesse ragione. Saremmo stati, come scriveva Orwell, dominati da repressivi apparati di stato per la sorveglianza e la sicurezza che ricorrevano a forme di controllo dure e violente? Oppure, come immaginava Huxley, ipnotizzati da divertimenti e spettacoli, ammaliati dalla tecnologia e sedotti da consumi sregolati per raggiungere la nostra stessa oppressione? Alla fine sia Orwell, sia Huxley avevano ragione. Huxley aveva previsto il primo stadio della nostra riduzione in schiavitù, Orwell il secondo.

Siamo stati gradualmente espropriati dei nostri diritti da uno stato corporativo che, come previsto da Huxley, ci ha sedotti e manipolati attraverso gratificazione dei sensi, prodotti di massa a buon prezzo, credito sconfinato, teatro della politica e divertimento. Mentre ci distraevamo con intrattenimenti, le regole che prima tenevano sotto controllo il potere predatorio delle corporazioni sono state annientate, le leggi che prima ci tutelavano sono state riscritte e ci siamo ritrovati impoveriti. Ora che il credito si sta prosciugando, i buoni posti di lavoro per la classe operaia sono finiti per sempre e non ci possiamo più permettere i prodotti di massa, ci ritroviamo trasportati da “Il nuovo mondo” a “1984”. Lo stato, menomato da forti deficit, da una guerra senza fine e dagli atti illeciti delle corporazioni, sta scivolando verso la bancarotta. E’ tempo che il Grande Fratello sorpassi l’universo di Huxley. Stiamo passando da una società in cui veniamo astutamente manipolati da legami ed illusioni ad una in cui siamo apertamente controllati. Orwell ci metteva in guardia rispetto ad un mondo in cui i libri vengono banditi, mentre Huxley uno in cui nessuno legge libri. Orwell descriveva uno stato di guerra e paura permanenti, Huxley una cultura deviata dal piacere insulso. Orwell dipingeva uno stato in cui conversazioni e pensieri vengono monitorati e il dissenso viene brutalmente punito; Huxley uno stato in cui la popolazione concentrata su banalità e gossip, non si preoccupa più di informarsi e di conoscere la verità. Orwell ci vedeva terrorizzati fino alla sottomissione, Huxley sedotti fino alla sottomissione. Ma la visione di Huxley, stiamo scoprendo, non era che il preludio a quella di Orwell. Huxley aveva capito il processo attraverso il quale noi stessi saremmo stati complici della nostra riduzione in schiavitù. Orwell aveva compreso la schiavitù. Ora che il colpo delle corporazioni è fatto, restiamo nudi ed indifesi. Stiamo iniziando a capire, come aveva intuito Karl Marx, che il capitalismo selvaggio e senza regole è una forza brutale e rivoluzionaria che sfrutta gli esseri umani e le risorse naturali fino all’esaurimento o al collasso.

“Il partito ha solo sete di potere,” scriveva Orwell in “1984.” “Non siamo interessati al bene degli altri; siamo interessati esclusivamente al potere. Non ricchezza, lusso, lunga vita o felicità: solo il puro potere. Cosa significa puro potere, lo comprenderete ora. Siamo diversi rispetto a tutte le oligarchie del passato, perché sappiamo quello che stiamo facendo. Tutti gli altri, persino quelli che ci assomigliavano, erano ipocriti e codardi. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinavano molto a noi nei metodi, ma non ebbero mai il coraggio di riconoscere i veri motivi che li spingevano ad agire. Essi pretendevano, forse persino credevano, di essersi impadroniti del potere di mala voglia e per un tempo limitato, e che appena dietro l’angolo ci fosse un paradiso in cui gli esseri umani sarebbero stati liberi ed uguali. Noi non siamo così. Noi sappiamo che nessuno ottiene il potere con l’intenzione di abbandonarlo. Il potere non è un mezzo; è il fine. Nessuno instaura una dittatura per salvaguardare una rivoluzione; si fa la rivoluzione per stabilire la dittatura. L’oggetto della persecuzione è la persecuzione. L’oggetto della tortura è la tortura. L’oggetto del potere è il potere.” Il filosofo politico Sheldon Wolin usa il termine “totalitarismo invertito” nel suo libro “Democrazia incorporata” per descrivere il nostro sistema politico. E’ un termine che avrebbe senso per Huxley. Nel totalitarismo invertito, le sofisticate tecnologie del controllo corporativo, l’intimidazione e la manipolazione di massa, che superano di gran lunga quelli impiegati dai precedenti totalitarismi, sono effettivamente mascherati dallo scintillio, il rumore e l’abbondanza della società consumistica. La partecipazione politica e le libertà civili decadono gradualmente. Lo stato corporativo, nascondendosi dietro la cortina fumogena dell’industria delle public relations, dell’intrattenimento e dell’appariscente materialismo di una società consumistica, ci divora dall’interno. Non deve fedeltà né a noi, né alla nazione. Banchetta con la nostra carcassa.

Lo stato corporativo non trova la propria espressione in un demagogo o in un leader carismatico. Si definisce per l’anonimato delle sue corporazioni senza volto. Corporazioni, che assoldano rappresentanti attraenti come Barack Obama, controllano la scienza, la tecnologia, l’educazione e la comunicazione di massa. Controllano i messaggi nei film e nella televisione e, così come in “Il mondo nuovo”, usano strumenti di comunicazione per sostenere la tirannia. I nostri sistemi di comunicazione di massa, come scrive Wolin, “bloccano, eliminano tutto ciò che può introdurre qualificazione, ambiguità o dialogo, tutto ciò che rischia di indebolire o mettere in crisi la forza olistica della loro creazione nella sua espressione totale”. Il risultato è un sistema di informazione monocromatico. Celebrità allineate, mascherandosi da giornalisti, esperti e specialisti, identificano i nostri problemi e illustrano pazientemente i parametri. Tutti quelli che esprimono opinioni diverse rispetto ai parametri imposti vengono messi da parte in quanto irrilevanti spostati, estremisti o esponenti della sinistra radicale. Sociologi prescienti, come Ralph Nader e Noam Chomsky, vengono messi a tacere. Le opinioni accettabili vanno da A a B. La cultura, sotto il controllo di questi personaggi allineati, diventa, come Huxley aveva evidenziato, un mondo di allegro conformismo e di sconfinato, e infine fatale, ottimismo. Ci impegniamo ad acquistare prodotti che promettono di trasformare le nostre vite, renderci più attraenti, sicuri di noi stessi o capaci di collezionare successi, mentre invece veniamo continuamente privati dei nostri diritti, del nostro denaro e della nostra influenza. Tutti i messaggi che ci arrivano, sia dalle news della notte o dai talk show come “Oprah” (condotto dall’opinion leader Oprah Winfrey, che ha largo seguito negli USA n.d.r.), promettono un futuro felice e meraviglioso. E questo, come sottolinea Wolin, è “la stessa ideologia che induce i funzionari delle corporazioni a esagerare i profitti e celare le perdite, ma sempre con un’espressione solare.” Siamo stati ipnotizzati, come scrive Wolin “da continui progressi tecnologici” che “ci incoraggiano ad elaborare fantasie di valore individuale, eterna giovinezza, bellezza ottenuta tramite chirurgia, azioni misurate in nanosecondi: una cultura illusoria del controllo e delle sempre crescenti possibilità, i cui esponenti lavorano di fantasia, poiché la vasta maggioranza ha una fervida immaginazione, ma ben scarse conoscenze scientifiche”.

La nostra base produttiva è stata distrutta. Speculatori e imbroglioni hanno saccheggiato le finanze statunitensi e rubato miliardi ai piccoli risparmiatori che avevano accantonato denaro per la pensione o il college. Le libertà civili, compreso l’habeas corpus (Norma giudiziaria del diritto inglese e nord-americano, per la quale l’arrestato deve immediatamente comparire davanti al giudice perché questi decida sulla validità dell’arresto e sulla possibilità della sua scarcerazione dietro cauzione n.d.r.) e la protezione dalle intercettazioni telefoniche non autorizzate, sono spariti. I servizi basilari, compresa l’educazione pubblica e la sanità, sono stati trasferiti alle corporazioni affinché ne traggano profitto. I pochi che dissentono, che rifiutano di lasciarsi coinvolgere nell’allegro discorso corporativo, vengono additati dall’establishment corporativo come stravaganti. Opinioni e caratteri sono stati astutamente costruiti dallo stato corporativo, come per gli influenzabili personaggi di Huxley in “Il nuovo mondo”. Il protagonista del libro, Bernard Marx, si rivolge frustrato alla fidanzata Lenina, chiedendole:
“Non vorresti essere libera, Lenina?”
“Non capisco cosa intendi. Sono libera, libera di spassarmela. Tutti sono felici al giorno d’oggi.”
Rise, “Si, ‘Tutti sono felici al giorno d’oggi’ Questo lasciamo ai figli. Ma non vorresti essere libera di essere felice in qualche altro modo, Lenina? Alla tua maniera, per esempio; non come tutti gli altri.”
“Non capisco cosa intendi,” ripeté.

La facciata si sta sgretolando. Sempre più persone si rendono conto di essere state usate e derubate, stiamo scivolando da “Il mondo nuovo” di Huxley al “1984” di Orwell. L’opinione pubblica, ad un certo punto, si troverà a fronteggiare realtà molto spiacevoli. I lavori ben pagati non torneranno. I grandi deficit nella storia dell’uomo significano che siamo intrappolati in un sistema di lavoro forzato a risarcimento di un debito che lo stato corporativo utilizzerà per sradicare le vestigia della tutela sociale per i cittadini, compresa l’assistenza sociale. Lo stato è passato dalla democrazia capitalistica al neo feudalesimo. E quando queste verità diventeranno palesi, la rabbia sostituirà l’allegro conformismo imposto dallo stato corporativo. La desolazione dei nostri portafogli postindustriali, con 40 milioni di americani che vivono in povertà e altri 10 milioni in uno stato di “semi povertà”, abbinata all’assenza di credito per salvare le famiglie dalle ipoteche, dal reimpossessamento delle banche e dalla bancarotta dovuta ai costi del sistema sanitario, significano che il totalitarismo invertito non potrà funzionare per molto. Viviamo sempre più nell’Oceania di Orwell piuttosto che nello Stato Mondiale di Huxley. Osama Bin Laden ricopre il ruolo di Emmanuel Goldstein in “1984”. Goldstein, nel romanzo, è la faccia pubblica del terrore. Le sue macchinazioni diaboliche e le azioni clandestine di violenza dominano i tg della sera. L’immagine di Goldstein appare quotidianamente sugli schermi televisivi di Oceania in quanto parte del quotidiano rituale nazionale “due minuti di odio”. E senza l’intervento dello stato, Goldstein, così come Bin Laden, vi ucciderà.

Tutti gli eccessi sono giustificati nella lotta titanica contro il male personificato. La tortura psicologica del soldato Bradley Manning (22enne americano sospettato di essere il responsabile della fuga di notizie dietro le rivelazioni di Wikileaks n.d.r.) – che è imprigionato da sette mesi pur non essendo accusato di alcun crimine – rispecchia la situazione del dissidente Winston Smith alla fine di “1984”. Manning è detenuto in regime di massima sicurezza presso la base dei Marines di Quantico, in Virginia. Trascorre 23 ore al giorno da solo. Non può fare esercizi fisici. Non può avere né cuscino, né lenzuola per il letto. I medici dell’esercito lo imbottiscono di antidepressivi. Le rudi forme di tortura della Gestapo sono state rimpiazzate dalle più fini tecniche orwelliane, sviluppate da psicologi assoldati dai governi per ridurre in vegetali i dissidenti come Manning. Distruggiamo le anime, così come i corpi. E’ più efficace. Ora possiamo essere tutti rinchiusi nella temibile stanza 101 di Orwell per diventare innocui e condiscendenti. Queste “particolari misure amministrative” vengono regolarmente imposte ai nostri dissidenti, compreso Syed Fahad Hashmi, imprigionato in condizioni simili per tre anni prima di essere processato. Queste tecniche hanno menomato la psiche di migliaia di prigionieri nei nostri “black sites” in tutto il mondo. Sono la nostra principale forma di controllo nei carceri di massima sicurezza dove lo stato corporativo combatte il nostro sottoproletariato politicamente più scaltro – gli Afroamericani. Tutto è presagio del passaggio da Huxley a Orwell. “Non sarai mai più in grado di provare sentimenti umani,” dice il suo aguzzino a Winston Smith in “1984”. “E’ tutto morto dentro di te. Non sarai più capace di amare, di provare amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio o integrità morale. Sarai svuotato. Potremmo strizzarti e riempirti di noi stessi”

Il nodo scorsoio si sta stringendo. L’era del divertimento sta per essere sostituita da quella della repressione. Decine di milioni di cittadini hanno avuto mail e telefoni controllati dal governo. Siamo i cittadini più monitorati e spiati della storia. Molti di noi vengono ripresi nella loro routine quotidiana da dozzine di telecamere di sicurezza. Le nostre inclinazioni e abitudini vengono registrate su Internet. I nostri profili vengono generati in modalità elettronica. I nostri corpi vengono perquisiti in aeroporto e filmati da scanner. Annunci nei locali pubblici, carte di circolazione, cartelli alle fermate dei mezzi pubblici ci invitano continuamente a denunciare attività sospette. Il nemico è ovunque. Chi non si conforma con i dettami della guerra al terrore, una guerra che, come notava Orwell, è infinita, viene brutalmente messo a tacere. Le misure di sicurezza draconiane impiegate per sedare le proteste durante il G20 a Pittsburgh e Toronto erano completamente sproporzionate rispetto al livello delle attività in strada. Ma hanno lanciato un messaggio chiaro – NON PROVATECI. Le azioni dell’FBI mirate nei confronti di attivisti palestinesi contrari alla guerra, nelle cui case di Minneapolis e Chicago hanno fatto irruzione gli agenti a fine settembre, sono un presagio di ciò che accadrà a chiunque oserà sfidare la Neolingua ufficiale dello stato. Gli agenti – la nostra Psicopolizia – hanno sequestrato telefoni, computer e altri effetti personali. Sono stati emessi mandati di comparizione per 26 persone che dovranno presentarsi davanti al Grand Jury. Questi mandati di comparizione si rifanno a una legge federale che vieta di “fornire materiale o risorse di supporto a quelle definite come organizzazioni terroristiche straniere”. Il terrore, anche per coloro che non ne sono minimamente coinvolti, diventa il corpo contundente con cui il Grande Fratello ci protegge da noi stessi.

“Inizi a vedere, ora, quale mondo stiamo realizzando?” scriveva Orwell. “E’ esattamente l’opposto della stupida edonistica Utopia che immaginavano i vecchi riformatori. Un mondo di paura, slealtà e tortura, in cui si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel ridefinirsi, non diminuisce, bensì accresce la propria spietatezza.”

Fonte: TRUTHDIG

Traduzione per www.comerdonchisciotte.org a cura di ELENA

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giovedì 17 febbraio 2011

Quale Atteggiamento di fronte ai Mali del Mondo?

DI DANIELA COIN

serenita

Ogni giorno veniamo bombardati da notizie di vario genere. Al TG, leggendo il giornale, le notizie negative si accavallano una sull'altra. Su facebook e simil social network, i gruppi che mettono in guardia da continui pericoli sono all'ordine del giorno. Assassini, pedofili, necrofili, traditori, delinquenti, drogati, mamme psicotiche, vicini di casa che si trasformano da personcine perbene in belve assetate di vendetta.

Simboli che dovrebbero essere una guida, quale la politica e la Chiesa, trasformati in mostri che tradiscono e feriscono, che sbagliano. E a noi arriva sempre il medesimo messaggio: non puoi fidarti di nessuno, devi avere paura di tutti. Il petrolio sta finendo. I bambini vengono sfruttati. Gli animali vengono sfruttati. Le donne vengono sfruttate. Boicottate ogni cosa, tutto è il male. Non si può più comprare nulla senza aver indirettamente ucciso qualcuno. Questo elenco potrebbe durare all'infinito. E nulla di quanto sopra citato è, probabilmente, inesistente. Tutto è certamente degno di attenzione e consapevolezza. Ma qual è l'atteggiamento più indicato da tenere di fronte a questa infinita mole di notizie che ogni giorno vengono sottoposte alla nostra attenzione? Ignorarle non è probabilmente l'atteggiamento migliore da tenere di fronte a fatti che possono, in un modo o un altro, condizionare la nostra vita e spesso, indirettamente, quella altrui. Auspicabile sarebbe riuscire ad informarci su tutto, dedicando il tempo adeguato a comprendere la notizia in ogni sua parte, a farsene un'idea, a posizionarla nella nostra vita in modo consapevole e vedere cosa possiamo fare noi per risolvere queste problematiche proposte. Sicuramente un ruolo in tutto questo ce l'abbiano anche noi, in un modo od un altro. Però, se questa presa di coscienza finisce per influenzare la nostra esistenza e ci modifica l'umore, portandoci ad assumere un costante atteggiamento negativo nei confronti delle giornate che andiamo ad affrontare, è abbastanza chiaro che questo non è l'approccio migliore da tenere di fronte a quello che abbiamo appreso. Una cosa è rendersi consapevoli e, senza ansia, cercare di fare il possibile per migliorare le cose, per quel che riguarda le nostre possibilità effettive, un'altra è farsi prendere dal panico ed affrontare la vita con sentimento di rabbia, rancore ed aggressività. Ad esempio una volta appreso che sui cosmetici viene, quasi sempre, direttamente o meno, praticata la vivisezione, una cosa è dirigere gli acquisti, consapevolmente, verso prodotti garantiti e certificati cruelty-free (che fra l'altro sono anche più salutari per la nostra persona), un'altra cosa è vivere le nostre giornate angosciati dalla sofferenza vissuta da questi animali, torturarsi a vedere schiere infinite di documentari che riguardano queste torture, rovinandoci le giornate, causandoci rabbia e malessere che poi si sfoga compromettendo, per contro, la nostra salute psico-fisica e i rapporti che andiamo a vivere con i nostri cari.

Non solo, affrontare le giornate predisponendoci in atteggiamenti di rabbia (seppur giustificata), ci allontana dal reale nostro scopo in quanto, se ci si batte per ottenere giustizia, e quindi cercando di portare energie positive laddove ce ne sono di negative, non ha affatto senso affrontare questa ricerca caricandoci di sentimenti negativi. E' palese che l'energia che riverseremo sui nostri nobili intenti, sarà energia negativa. Battersi "per" e battersi "contro" sono due atteggiamenti diametralmente opposti che causano, di conseguenza, reazioni coerenti col tipo di sentimento che le nutre.

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martedì 15 febbraio 2011

Generazioni Capricciose e Parecchio Stronze

DI MARCO CANESTRARI

snob

Come abbiamo già visto nei corsi su “Come si Controllano le Masse nei Paesi Democratici”, nei paesi a “democrazia controllata” l’istintività e l’aggressività vengono favorite e sfruttate a scapito dell’intelletto e della ragione, producendo così un ambiente pieno di paure e spaccature sociali, dove l’ostilità è dietro l’angolo e dove sopravvive chi è più furbo, determinato e combattivo in una rincorsa verso il modello più forte e meno sensibile. In un contesto dove per tirare avanti ognuno cerca di prevaricare gli altri risulta difficile sviluppare alternative migliori. Specialmente in situazioni di emergenza, disagio e forte stress, l’odio stimolerà facilmente l’odio e i meccanismi di difesa di ognuno contribuiranno impulsivamente a gettare benzina sul fuoco.

Che effetti ha tutto ciò sulle nuove generazioni? Si viene a sviluppare una nuova società con nuovi valori, dove va di moda la mediocrità. Molti ragazzi si autodefiniscono orgogliosamente “menefreghisti”, sono contenti di avere un’immagine “parecchio stronza” e di essere “permalosi”, “testardi”, “paraculi” e così via. Saper essere cattivi ed aggressivi (ma solo con chi se lo merita, così dicono) diventa oltre che una necessità, un vanto. I buoni diventano così buonisti, i sensibili diventano deboli o poco furbi, a volte anche: passivi, indecisi, conformisti ed inefficienti. Per farsi strada nell’ambiente del “si salvi chi può”, chi non è aggressivo viene visto come l’elemento prevaricabile. In questo scenario malsano di stress ed ansia aumentano a dismisura i suicidi, l’abuso di psicofarmaci e di antidepressivi negli adolescenti.

Alcuni genitori, per non acquisire un’immagine “debole” e perdere ogni controllo sui figli, cercano di forzare i loro atteggiamenti verso esempi e ruoli sempre più autoritari rafforzando la regola del più forte e diffondendo ulteriormente i germi della rabbia e della rivalsa. In questa maniera si fanno ubbidire solo fino a quando hanno più la forza di imporre la propria volontà con dei ricatti affettivi o materiali, dopodiché vengono messi da parte e prevaricati dal figlio adolescente. Oppure, ancora peggio, riescono a torcere completamente l’indole del ragazzo, che si comporta secondo le imposizioni del genitore, non perché ha compreso a fondo il senso degli insegnamenti, ma semplicemente perché plasmato dalla paura. Il modo più immediato per salvarsi in questa giungla è quello di imporsi con la forza in una rincorsa che alimenta l’aggressività di tutti. Si perde contatto con la propria sensibilità e si utilizza la propria intelligenza solo per applicare la legge del più furbo, schiacciando i più deboli e sottomettendosi ha chi ha più potere di imporre la propria volontà.

Come possiamo uscire da questa reazione a catena ed arginare l’aggressività? Siamo minacciati da ogni parte ma dobbiamo capire che se ci difendiamo con aggressività non facciamo altro che alimentare questo meccanismo perverso che si ritorcerà in maniera sempre più incalzante contro di noi e contro gli altri. Bisogna quindi cambiare interamente paradigma e mostrare che è possibile vivere serenamente e difenderci senza essere aggressivi, senza imporsi a nessuno. Non è facile, c’è un mondo nuovo da imparare ma non c'è altra strada. Dobbiamo essere capaci di dimostrare, soprattutto nella pratica, che gli schemi di comportamento vincenti, che danno soddisfazione personale e sicurezza non sono solo quelli aggressivi, impulsivi ed egocentrici che sempre più spesso ci sentiamo spinti ad imitare. Chi per primo è consapevole di ciò ha la responsabilità di svegliare tutti gli altri ed agire verso l’evoluzione, la crescita ed il miglioramento suo e della collettività, ricordando che la comprensione di qualcosa non è mai favorita dalla provocazione, dal ricatto, dall’offesa e dalla violenza.

Bisogna insegnare ad agire liberamente in base alla consapevolezza e dare questo esempio, non quello della rabbia e della paura che ci spinge ad agire reattivamente… perché la paura non educa, indottrina.

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domenica 13 febbraio 2011

L'Ottimista e il Pessimista

DI ENRICO GALAVOTTI

ottimismo

Il difficile, in questa società, è conservare l'ottimismo di credere possibile una reale alternativa al sistema, pur nella piena consapevolezza della grande corruzione del potere politico-istituzionale. Tale corruzione infatti fa scattare, in molte persone, dei meccanismi per i quali, in un modo o nell'altro, si tende a giustificare il qualunquismo come prassi e il pessimismo come filosofia nei confronti dell'uso del potere in particolare, e della politica in generale. Nel migliore dei casi si assiste a una reazione istintiva, individualistica o estremista.

Il pessimista, che non crede in una modifica sostanziale della realtà, in direzione della qualità della vita, è fondamentalmente un individualista, cioè una persona che vorrebbe cambiare o veder cambiare le cose ma che, nel contempo, ritiene di non avere le forze sufficienti per poterlo fare, né che altri le abbiano. Il pessimista ha fiducia di poter sopravvivere dignitosamente in questo sistema di cose, di cui però scorge, in maniera superficiale, la decadenza, la volgarità. Egli cioè è convinto di poter vincere da solo la sua lotta contro i meccanismi duramente selettivi della società borghese. Il pessimista non crede nella possibilità di un cambiamento perché non crede negli altri e di conseguenza neppure in se stesso e, quel che è peggio, non vuole neppure che gli altri credano in loro stessi. Egli è conservatore per scelta e fa del proprio idealismo o del proprio perfezionismo un alibi per non impegnarsi a livello politico o sociale, o comunque per non impegnarsi a favore della transizione. Il pessimista, se cinico, s'impegna moltissimo sul piano economico, per fare affari; se invece è un moralista o un intellettuale, s'impegna nella dialettica sofistica, nei ragionamenti filosofici, nelle disquisizioni che portano a un vicolo cieco o a giustificare le proprie posizioni, salvo poi, nel peggiore dei casi, lasciarsi andare in una vita dissipata, inconcludente e senza significato. Egli -se onesto- sarebbe anche disposto ad impegnarsi per la transizione sul terreno politico e sociale, ma lo farebbe solo a condizione di poter ottenere tutto e subito. Ben sapendo quanto ciò sia impossibile, ne deduce che l'impegno è inutile, è illusorio. E così la sua tendenza, anche senza volerlo, è sempre quella di giustificare il presente contro il futuro. Siccome però avverte o conosce, in qualche modo, le contraddizioni del presente, tende anche a idealizzare un passato che in realtà non è mai esistito, considerandolo come una sorta di "paradiso perduto". Il suo affronto della realtà è astratto e intellettualistico, da persona isolata, che si concepisce in maniera individualistica, anche se vive in una trama di rapporti sociali. Il suo problema maggiore è che non ha fiducia che le masse possano rendersi consapevoli dei loro bisogni e lottare in direzione del socialismo. Per lui, ad es., il crollo del socialismo di stato va visto come una giustificazione del capitalismo; l'ottimista invece vi deve vedere un progresso verso il socialismo democratico e autogestito. L'ottimista che s'impegna in modo responsabile non condanna la politica in sé, né il potere e tanto meno i singoli rappresentanti dell'uno e dell'altra. Condanna però il sistema che produce una certa politica e un certo uso del potere.

Una lotta politica efficace, oggi, deve saper mettere in discussione tutto. Lo scontro politico diventerà inevitabile se il sistema di potere cercherà d'impedire con l'uso della forza che la consapevolezza della generale corruzione porti a un rivolgimento politico-istituzionale. Molto, ovviamente, dipenderà dall'effettiva consistenza e organizzazione dell'opposizione. Il paradosso comunque resta: gli strumenti coercitivi adottati dal governo possono anche essere usati contro le intenzioni dello stesso governo, cioè per accelerare il momento dell'alternativa.

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venerdì 11 febbraio 2011

I Ponti della Ragione

DI DAVID CORSICO

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Di tutte le sue invenzioni, l’essere umano, ne ha concepita una che ha permesso l’avvicinamento delle idee: i ponti. Metaforicamente, il ponte, è la struttura più simile al dialogo, l’insegnamento e lo scambio di cultura. Non fraintendetemi, non penso che l’uomo abbia costruito i ponti solo per un coinvolgimento sociale con  il vicino dirimpettaio, anzi, penso, che questo aspetto sia frutto soprattutto della mia fervida immaginazione.

Però, non si può non notare che con essi, simbolicamente si sia stretto la mano alla comunione. Gli scambi avvenivano comunque tra gruppi, i più temerari guadavano i fiumi in piena pur di commerciare, ma il ponte, in qualche modo, ha sancito il passaggio per tutti e ha consacrato la possibilità all’espansione del pensiero, soverchiando così le barriere di società relativamente autonome. Almeno, così mi piace sognare il valore comune del ponte, l’unione di popoli che fraternizzano abbattendo le paure dell’incomprensione e della superstizione, fondendo il proprio sapere in uno scopo universale: la consapevolezza. Sembra però, che questo sogno appartenga a pochi, infatti, ci sono uomini che vorrebbero distruggere quei ponti, abbattere tutti i ponti del mondo, per poter isolarsi nella loro piccola nicchia e chiudere i cancelli alla comprensione. Questi uomini stolti e arroganti pensano di possedere qualità divine o perlomeno, sono convinti nella loro greve autarchia, di non aver bisogno di nessun altro giudizio. Questa mentalità inutile e malsana, favorisce ancora di più l’isolamento e la paura, aumentando la diffidenza e l’intolleranza, creando nei cuori della gente la gelosia e l’odio. L’inconsapevolezza non solo demolisce i ponti ma chiude le vie, spranga le porte, cementa le finestre e se all’inizio il bisogno di protezione è tra le anse del fiume, poi non bastano più nemmeno le mura fortificate intorno alla città a dare sicurezza, perché lo scudo alle nostre paure è solo il sapere. I ponti levatoi alzati, i ponti abbattuti, i ponti progettati male, sono tutti sintomi di una regressione sociale, di un indebolimento della cultura e dell’integrazione e per far sì che questo non avvenga, dobbiamo sacrificarci un po’ tutti: a partire dai più dotti. Il primo mattone per costruire questo ponte solidale deve essere posto  proprio dal più conscio, adoperando la sua intelligenza come una ricchezza da distribuire tra i poveri, senza reclamare nulla in cambio, se non, la gioia incondizionata per aver contribuito al suo compimento.

Il conscio non dovrebbe attendere la risposta affermativa alla sua domanda, non dovrebbe valutare o giudicare, non dovrebbe sperare nella cognizione dell’altro ma, dovrebbe solo ritentare là, dove ha fallito. La contesa, anche se questo termine non mi piace, si vince con la conoscenza, sconfiggendo l’ignoranza, distribuendo la cultura e quando saremo tutti più consapevoli, ci ritroveremo a festeggiare la pace sui ponti della ragione.

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mercoledì 9 febbraio 2011

La Differenza fra Tifare e Cooperare

DI MARCO CANESTRARI

Il male della nostra democrazia oggi non si trova nella mancanza di espressione: vediamo sovente nelle arene televisive come chiunque possa prendere facilmente la parola per dire la sua. Quello che viene a mancare è la capacità e la possibilità di conoscere gli strumenti per cooperare tutti insieme nella diversità per poter affrontare un reale cambiamento all’interno della struttura sociale.

Ecco Cosa Vedo si propone di creare una struttura organizzata che possa aggregare informazioni, competenze e strategie e diffonderle su ampia scala promuovendo i contenuti più costruttivi ed etici, volti a favorire delle scelte sempre più consapevoli verso le soluzioni ai problemi della società moderna. Lo scopo principale del nostro movimento è appunto quello di creare un canale di diffusione per promuovere questi strumenti ed offrire ognuno le proprie conoscenze ed esperienze.

Liberiamo l’energia presente in ogni individuo e orientiamola “a favoredella costruzione organizzata e sistematica di modelli migliori rispetto a quelli che si criticano

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L'Assalto all'Istruzione Pubblica

DI JOSEP FONTANA

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Nell’attuale smantellamento dello Stato sociale è stato il turno della pubblica istruzione, ed in primo luogo le superiori. In Italia, la riforma Gelmini, mira ad eliminare un gran numero di insegnanti e di ridurre considerevolmente i fondi destinati all’università e alla ricerca. Di fronte alle proteste degli studenti e gli insegnanti, Berlusconi ha detto: "I veri studenti sono nella loro casa a studiare, quelli che scendono per la strada sono facinorosi”.

L’altro fuoco di proteste è stata la Gran Bretagna, dove una proposta simile va accompagnata dall’annuncio di un aumento brutale delle tasse universitarie che lascerebbe l’istruzione superiore ridotta ad un privilegio per i figli delle classi superiori. L’assalto non si riferisce soltanto alle università. Negli Stati Uniti -ed è bene vedere quello che succede lì, perché è l’annuncio di ciò che presto potrebbe arrivare- la scuola pubblica è attaccata su due percorsi differenti. In primo luogo, dal bisogno di ridurre le spese. Micheal Bloomberg, il miliardario sindaco di New York, ha assunto un ruolo guida nelle scuole di Cathleen Black, presidentessa del gruppo Hearst (che cura le pubblicazioni come il Cosmopolitan o Marie Claire), un esecutivo senza nessuna preparazione nel campo dell’educazione, che ha già annunciato che il suo compito si focalizzerà sulla riduzione della spesa della scuola pubblica, che è quella utilizzata dai poveri. Bob Herbert, che colloca questi fatti nel contesto di un' America nella quale coincidono il maggior sciopero ed i maggiori benefici delle aziende finanziarie, avverte: “La guerra di classe della quale nessuno vuole parlare continua senza sosta”. C’è una seconda linea di attacco, nella quale partecipa attivamente la Bill & Melinda Foundation, che combatte la scuola pubblica in quanto inefficace, senza tener conto della povertà delle risorse con le quali funziona, e accusa di questo i sindacati dell’insegnamento, che si rifiutano ad accettare il licenziamento dei maestri meno qualificati. L'alternativa sono le scuole charter, che sono "esenti da norme statali o locali che inibiscono la gestione flessibile e amministrazione ".

Ciò che questi approcci di solito nascondono è che dietro gli argomenti di costi ed efficienza, c’è il proposito di combattere un insegnamento indipendente e critico, che è destinato a sostituire un altro che inculchi valori patriottici e conformismo sociale. James Loewen spiega, nel suo libro Lies My Teacher Told Me, che gli insegnanti americani devono stare attenti quando parlano in classe di argomenti come, per fare un esempio, la guerra in Vietnam. “Ho intervistato insegnanti delle superiori che erano stati licenziati, o hanno ricevuto minacce di licenziamento, per atti minori di indipendenza come quelli di fornire agli alunni materiali che alcuni genitori considerano discutibili”. Cosa che, sapendo che nessuno accorrerà a difenderli, li spinge alla “sicurezza dell’autocensura”. Le biblioteche sono un altro scenario di questa lotta. Non solo delle scuole- dove l’Associazione delle biblioteche degli USA ha denunciato che basta la lamentela di un solo genitore per eliminare un libro- ma le istituzioni pubbliche in generale. Kurt Vonnegut ha elogiato i bibliotecari che "sono riusciti a resistere attivamente ai fanatici che hanno cercato di togliere alcuni libri dagli scaffali e hanno distrutto i registri dei lettori, piuttosto che rivelare alla polizia il pensiero i nomi delle persone che hanno consultato ". In un simile senso va la decisione dell’attuale Governo post pinochista cileno che diminuisce le ore di Geografia, Storia e Scienze nella scuola elementare e secondaria, e che ha causato manifestazioni di protesta da parte di insegnanti e studenti. O il disprezzo per la presenza di Materie umanistiche nell’università, che ha portato ad un critico di Not for profit -il libro nel quale Martha C. Nussbaum sostiene che l’insegnamento che sviluppa un pensiero critico è necessario per la sopravvivenza della democrazia- a fare affermazioni del tipo che "gli accademici passano il loro tempo ed energie scrivendo monografie illeggibili su argomenti di nessun interesse."

La tendenza, sia nella scuola che nell’università, punta nella direzione di limitarsi ad offrire una formazione che si dedica all’entrata immediata nell’azienda. Si tratta di consolidare il tipo di “curriculum occulto” di cui parla Henry A. Giroux per il quale "la classe dominante si assicura l’egemonia”, trasmettendo, “forme di conoscenza, cultura, valori e aspirazioni che sono insegnate, senza che mai si parli di esse o si esplicano pubblicamente”. Tutto questo dovrebbe portarci a riflettere sulle motivazioni che ci sono dietro queste politiche. L’idea che il deficit si può combattere solo con il taglio della spesa sociale, ha scritto pochi giorni fa il premio Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz, "è un tentativo di indebolire le protezioni sociali, ridurre la progressività del sistema fiscale e diminuire il ruolo e la misura del Governo, mentre si lasciano determinati interessi stabiliti, come quelli del complesso militare-industriale, così poco colpiti se possibile”

L’istruzione pubblica è una parte essenziale dei nostri diritti sociali e una garanzia del futuro delle nostre libertà.

FONTE: Voci Dalla Strada traduzione a cura di VANESA

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domenica 6 febbraio 2011

La Democrazia degli Onni(in)competenti

DI VALERIO PASSERI

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Perché la democrazia non funziona? Intendiamoci attualmente il sistema democratico è l’ordine politico ma anche sociale preferito e preferibile tra tutti quelli conosciuti fino ad oggi. Ma, credo che sarà evidente a molti, non funziona come dovrebbe. A volte però sfugge il motivo per cui non funziona come la linea teorica imporrebbe.

Come in ogni altro sistema politico e non solo, la democrazia poggia su dei presupposti che ritiene, o almeno al tempo della sua concezione venivano ritenuti, universali. Il presupposto specifico, che è poi il punto debole della democrazia, è la concezione dell’individuo onnicompetente; vale a dire che è dato per scontato che ogni individuo sia competente in ogni ambito che riguarda la vita della società compresa politica ed economia. Già definendo questo punto viene subito alla luce subito il cuore del problema. E’ ovvio che una persona non può essere competente in ogni disciplina; può avere un’opinione critica di ciò che lo riguarda direttamente, ma non di certo in quello che conosce solo in forma stereotipata tramite i media. Eppure lo stato democratico porta l’individuo a credersi capace di giudicare ogni cosa, lo veste di un’aura che lo eleva a giudice supremo. In realtà tutte quelle opinioni che una persona ha al di fuori del proprio piccolo mondo - dal quale si hanno riscontri diretti - sono indotte dal giudizio di qualcun altro. Ovviamente quest’altra entità non può essere, anche volendo, completamente oggettiva riguardo un fatto, figuriamoci se dietro di essa agiscono gruppi politico-economici che hanno grandi interessi a indurre la gente a pensare determinate cose.

L’entità di questo tipo che possiede in assoluto questo potere è la televisione. Essa sfrutta l’ignoranza di tutte le persone che non conoscono direttamente un determinato argomento, forzando nelle loro teste un’idea dell’oggetto in questione arricchito, grazie all’uso di determinate parole ed immagini, dalle emozioni più appropriate. Ad esempio, se definisce un tale gruppo di persone come rivoltosi, terroristi o criminali la nostra testa comincerà ad associare a quel tipo di persona sentimenti di ostilità. Ovviamente, non prendiamo per buona la definizione del primo giornale o tg che vediamo, ma siamo indotti a pensarla come il nostro media di fiducia. La scelta di questo media però non può essere oggettiva rispetto a tutte le notizie, la nostra scelta generalmente ricade sul mezzo di informazione che tratta gli argomenti che più ci stanno a cuore come li tratteremmo noi stessi, con il nostro stesso stereotipo. Una volta che lo spettatore è fidelizzato grazie a queste notizie, tenderà generalmente a trattare gli argomenti che meno conosce con lo stesso giudizio della propria fonte di fiducia. Se un governante ha la possibilità di influenzare direttamente o indirettamente un gran numero di gruppi di informazione, viene da se che può spostare le opinioni delle persone a suo piacimento e ottenere facilmente il voto, strumento democratico per eccellenza, per se e per ciò che gli interessa. Bisogna prendere coscienza di come si comporta il nostro pensiero riguardo ciò che non vediamo, se si comprende si può anche ovviare ai problemi più evidenti che, come spesso accade, si trovano agli estremi: evitare di prendere per verità assoluta qualcosa che ci viene riportato da altri e con cui non abbiamo riscontro nel nostro piccolo mondo visibile e contemporaneamente evitare di cadere nel tranello di prendere tutto come opinione personale.

L’essenziale è la consapevolezza che in ogni nostra opinione agiscono dei fattori totalmente esterni da noi, a partire dalle nostre convinzioni personali indotte dall’esperienza e dal nostro codice morale, fino ad arrivare a quello che ci viene detto da chi reputiamo degno della nostra attenzione; la consapevolezza agisce come un anticorpo naturale all’influenza degli altri ogni volta che una nuova informazione ci raggiunge e che un nuovo giudizio deve essere formulato nella nostra mente.

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venerdì 4 febbraio 2011

Fare Presto, Fare in Fretta

DI DANIELE SEGRETI

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Si erge con sempre maggior incisività a simbolo dell’attuale società, la consuetudine di eseguire ogni sorta di attività con un’estrema frenesia. Le radici di tale comportamento, si possono rintracciare nella smania neo-economista di essere sempre più rapidi, efficienti, furbi e spregiudicati.

Si corre dalla mattina alla sera, tenendo ritmi impressionanti, suddividendo la giornata in mini-blitz temporali da dedicare a questa o quell’attività. Il risultato di tutta questa fast-life è sotto i nostri occhi: persone stressate a più non posso, nervi a fior di pelle e reazioni spropositate ad ogni minimo impedimento. A tutto ciò si aggiunge la sempre maggiore velocità richiesta sul lavoro, dettata dall’onnipresente crisi attuale, per eseguire compiti più articolati con risorse umane man mano più scarse. Analizzando nel dettaglio questa nuova moda extra rapida, salta immediatamente agli occhi la devastante portata di questo fenomeno sociale, talmente ampia da includere anche la sfera dell’alimentazione con l’estremamente deleteria pratica del fast food. Per limitare questa pessima deriva data dalla "vita veloce", è un buon inizio prendere coscienza che non è assolutamente una detrazione o una colpa eseguire i propri lavori con calma e perizia, siano essi manuali o mentali. In secondo luogo dobbiamo ricominciare ad assaporare il gusto di eseguire le nostre attività con calma: sorseggiare un thè, ascoltare un amico parlare o ammirare un meraviglioso tramonto. Pian piano ci accorgeremo che affrontando così le giornate, la nostra psiche diverrà sempre più calma e lucida e maggiormente inclini a sopportare qualche piccola disavventura. Con una visione slow-life, non avremo più la sensazione di essere cavalli da corsa con i paraocchi, ma esseri consapevoli della bellezza naturale che ci avvolge.

"Il tempo libero che si presenta inaspettatamente sarà sprecato" - Arthur Bloc

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mercoledì 2 febbraio 2011

Contro Chi ce la Dobbiamo Prendere?

DI MARCO CANESTRARI

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Dov’è il nemico? A chi lanciare sassi? A chi tirare pugni? Una volta riconosciuta l’esistenza del problema, per sradicarne definitivamente le fondamenta, bisogna individuare con precisione la sua causa. Spesso sentiamo persone che, in preda allo sconforto, si sfogano con rabbia di fronte ad un problema, magari con il tipico modo di dire: “Io gli butterei una bomba e li farei saltare tutti in aria”. Ma, di fronte ad una crisi sistemica, generalizzata, che pervade ogni campo della società in maniera diversa da qualunque altra crisi mai affrontata, a chi dovremmo metaforicamente tirare la bomba, secondo queste persone?

La tiriamo al rappresentante del sistema che più facilmente ci troviamo davanti? Quindi all’ultimo gradino dello sfruttamento del potere? La tiriamo ai piani intermedi? Quelli che: “Io, per legge, devo applicare le direttive che mi impartiscono dall’alto”? La tiriamo al vertice della piramide, nel parlamento, fra i primi in quella distorta rincorsa verso una sicurezza personale di cui tutti abbiamo bisogno, specialmente in periodi di crisi? E poi? Basta così? Per evitare che un nuovo politico si segga sulla stessa vecchia poltrona bisognerebbe andare più in alto ancora, seguendo con coerenza questa linea, come possiamo lasciare fuori i potenti fra i potenti, ovvero quell’élite che controlla la maggior parte del denaro e della ricchezza del pianeta: i grandi banchieri e le amministrazioni delle grandi multinazionali? Loro non hanno nessuna parte in causa? E poi? Tolto un banchiere si sostituisce con un altro, allora tiriamo una gigantesca bomba sull’intero sistema economico e mediatico, che, come una morsa, tiene il mondo intero sempre più stretto e fa sentire ogni giorno la sua instabilità e le sue crepe. Allora, perché non tirarla anche sul popolo che, in fondo ha avallato nel corso degli anni questi modelli di vita e queste culture? Perché, come dicono molti “anche il popolo ha la sua parte di colpa, è stupido, superficiale, ignorante e si merita tutto ciò che ha votato”. Oppure, in preda ad un incantesimo collettivo fatto di rabbia accumulata, disperazione, senso di impotenza e depressione, facciamo scomparire l’umanità intera, perché, come a volte si sente dire “l’uomo è il cancro della terra, è destinato all’autodistruzione, e speriamo che si estingua il prima possibile”?

Se affrontiamo il problema del mondo con lucidità, possiamo vedere chiaramente che nessuna di queste parti può essere considerata come estranea a tutto il meccanismo. Ogni parte, infatti, è collegata ed interagisce con resto, come in un enorme organismo. Perché allora non facciamo un’introspezione profonda anche dentro di noi? È possibile che il “male” riempia in maniera così capillare l’universo intorno a noi, mentre noi siamo ogni volta dalla parte del giusto? Perché non facciamo l’enorme salto di qualità di capire che tutti siamo in qualche misura fra le cause del problema? In quel momento la visione d’insieme non ci porterà all’autodistruzione, ci farà comprendere invece che quando la crisi è così profonda e generalizzata da diventare sistemica, allora non serve a niente prendersela con qualcuno. La cosa più costruttiva da fare è affrontare il problema complessivamente, in maniera positiva verso tutte le persone che ne fanno parte, senza escludere nessuno, iniziando dalle basi a proporre soluzioni e partecipando alla loro realizzazione. Tutti facciamo parte del problema, allora, su chi puntiamo il dito oggi?

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente,
per cambiare qualcosa, costruisci un modello che renda la realtà obsoleta

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