lunedì 30 maggio 2011

Il Coraggio dietro le Parole

DI KATIA GARRI’

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La televisione, Internet, gli sms hanno ridotto il nostro vocabolario, ma ogni parola è un concetto, un'idea, un mondo, il nostro mondo. Ha un contenuto inconfondibile perché è nostro. Perdendola rinunciamo ad un frammento della nostra intelligenza e della nostra sensibilità individuale. Le parole sono la migliore "tecnologia" per divenire consapevoli di stati interiori e di comunicazione. Possono essere come ponti verso il nostro mondo interiore.

Non ci sono sinonimi. Prendiamo come esempio tre parole che spesso usiamo una per l'altra, coraggio, sicurezza e paura. Guardandoci intorno, è facile constatare come nel nostro tempo il concetto di coraggio non goda, di troppa considerazione. Il coraggio è una qualità che noi associamo spesso al concetto di eroismo, riferendoci ai gesti eccezionali di chi mette in situazioni più o meno gravi la propria vita per un bene superiore o per la vita di un’altra persona. Solo raramente il coraggio viene esaltato come una virtù da coltivare e mettere in pratica giorno per giorno. Ciò che più sembra contare oggi, al contrario, è il concetto di sicurezza. Spesso ci viene consigliato di non rischiare, di non fare mosse azzardate, non esporsi, non parlare agli estranei, stare attenti e vigili,  sospettare del prossimo, insomma restare al sicuro di modo che non si corrano rischi. Si continua allora a tenere lo stesso lavoro, anche se non soddisfa, solamente perché si tratta di un posto sicuro, senza neppure adoperarsi attivamente per cercarne un altro che dia stimoli e faccia sentire vivi. Si continua a restare in una relazione nella quale l’amore e la passione sono svaniti da tempo, senza preoccuparsi di come rivitalizzarla, solo perché il rapporto va ormai avanti da anni e non sembra il caso di metterlo in discussione. Si preferisce seguire il flusso degli eventi, anziché cercare di assumersi le proprie responsabilità e determinarne il corso. Si preferisce rimanere al sicuro, non esporsi, adottando un atteggiamento passivo e sperando che i venti della vita conducano in una direzione favorevole. Il passo fondamentale per assumere la piena responsabilità della propria esistenza è acquistare coraggio, vivere senza paura. Non si parla del coraggio di lanciarsi con il paracadute o di tuffarsi da una roccia a picco sul mare o di correre a fari spenti nella notte, ma del coraggio di affrontare tutte quelle paure che trattengono dall’esprimersi compiutamente e dall’affermare la propria personalità in modo assoluto, senza maschere e timori, avere l’abilità di affrontare la paura del fallimento, la paura del rifiuto, la paura di essere umiliati, la paura di restare soli, la paura di non farcela. Alzi la mano chi nella sua vita personale e lavorativa non ha mai affrontato un momento difficile, un ostacolo non facile da superare. In questi casi il sostegno della famiglia e delle amicizie, ed anche del mondo esterno permette, e dovrebbe sempre essere così, di superare il labile confine che divide l’impossibile dal possibile. Molte delle nostre azioni, sono reazioni all’ambiente che ci circonda. E cosa vediamo intorno a noi? Spesso troppe parole gettate come pietre da parte della politica e dei mass-media, che finiscono d’erodere inesorabilmente la credibilità di tutto e di tutti. Troppo egoismo e casi di inganni, voltafaccia, prevaricazioni. Troppa ansia alimentata dalla percezione che si stia perdendo il controllo sociale delle regole che sono alla base di una serena e civile convivenza. Troppe disuguaglianze, con ricchezze sempre più concentrate in poche centinaia di migliaia di famiglie e povertà incipienti sempre più estese. Con questo scenario non ci si meraviglia se si estende una paura diffusa, che porta inevitabilmente ad una sfiducia individuale e collettiva. In una parola non si crede più a niente.

Tutti noi abbiamo queste paure, nessuno escluso. Ciò che ci differenzia, però, è la volontà di riconoscerle, accettarle e affrontarle. La maggioranza delle persone spesso le ignora , le rifiuta, non le accetta, semplicemente le nega, trova delle giustificazioni. È però sbagliato rimproverare solo gli inetti e litigiosi perché ciascuno di noi, individualmente preso, può contribuire allo sviluppo buttando via la pigrizia, scrollandosi di dosso le abitudini, accettando il rischio, cercando strade diverse, viaggiando nel mondo globalizzato per scoprire nuove occasioni.

"Il coraggio non è l’assenza di paura, ma la consapevolezza che nella tua vita
c’è qualcosa di più importante della paura"
- Ambrose Edmond

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giovedì 26 maggio 2011

La Solitudine dei Grandi Numeri

DI VALERIO PASSERI

numeri

Quando ci sentiamo minacciati da qualcuno o qualcosa, l’istinto comune è quello di cercare rifugio assieme ad altri che condividono la nostra stessa paura o i nostri stessi interessi. Immaginate ad esempio di percepire per qualche motivo, in maniera netta, la rivalità del nostro paese con un’altra nazione, risulterà quasi automatico sentirsi italiani. Se capita invece di “scontrarsi” su questioni che riguardano la vostra ed un’altra città, a quel punto sarà facile identificarsi con il proprio centro abitato.

Si potrebbe continuare con gli esempi quasi all’infinito, ma qualunque sia la fazione con la quale in un determinato momento ci identifichiamo, troviamo sempre due caratteri comuni: il sentirsi nettamente distanti ed ostili alla fazione rivale – spesso più efficacemente denominata “nemico” – e contemporaneamente estremamente vicini e solidali con chi appartiene al nostro stesso gruppo. Più l'ostilità cresce, più solidarietà e fratellanza aumentano e diventano stabili. Tutto questo lo vediamo costantemente nella scena dello scontro politico; il miglior modo per far maggiormente affezionare le persone al proprio partito, è far percepire l’altro il più ostile, minaccioso e pericoloso possibile. Minaccia e conflitto cementificano i rapporti e rendono più facilmente sopportabili e meno evidenti le contraddizioni all’interno del proprio gruppo. Quando ci sentiamo parte di qualcosa, siamo più disponibili ad aiutare i nostri compagni, siamo solidali e riceviamo solidarietà, ci sentiamo sicuri e riparati perché abbiamo costantemente la sicurezza di non essere soli. Al contrario, la società di oggi che perlopiù promuove la concorrenza più spietata nella lotta alla sopravvivenza, rende gli individui soli, lontani gli uni dagli altri, creando una forte dissonanza tra vicinanza fisica e distanza emotiva. Anche quando ci riuniamo in piccole cerchie con persone con caratteristiche o mete affini alle nostre, lo facciamo sempre contro qualcos’altro. E’ così che la bellissima esperienza di essere una volta tanto parte di qualcosa più grande di noi, viene spesso sfruttata - da chi ne ha il potere – per compiere azioni contro rivali economici, politici o di qualunque altro tipo. E’ così che si giustifica e si tiene mansueta l’opinione pubblica su una guerra che si è deciso di intraprendere dall’altro capo del mondo.

Invece di continuare su questa tendenza di riunirsi in “tribù” secondo ciò che ci differenzia dagli altri, bisognerebbe cominciare a farlo secondo ciò che ci accomuna. Anziché sentirsi italiani, europei o occidentali, ci si dovrebbe iniziare a sentire semplicemente appartenenti alla fazione degli esseri umani. Ormai il termine di “cittadini del mondo” è usato quasi in ogni settore della nostra vita, manca solo il tassello più importante, quello della consapevolezza di esserlo realmente.

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lunedì 23 maggio 2011

La Strana Sensazione di Vivere

DI SILVANO AGOSTI

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Cari amici, non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso. Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno
sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è utopia, ma un bene reale e comune. Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere. Arrivando in Kirghisia ho avuto la sensazione di “tornare” in un luogo nel quale in realtà non ero mai stato. Forse perché da sempre sognavo che esistesse.

Il mio strano “ritorno” in questo meraviglioso Paese, è accaduto dunque casualmente. Per ragioni tecniche, l’aereo sul quale viaggiavo ha dovuto fare scalo due giorni nella capitale. Qui in Kirghisia, in ogni settore pubblico e privato non si lavora più di tre ore al giorno, a pieno stipendio, con la riserva di un’eventuale ora di straordinario. Le rimanenti 20 o 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli e ai propri simili. La produttività si è così triplicata, dato che una persona felice sembra essere in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un essere sottomesso e frustrato riesce a produrre in una settimana. In questo contesto, il concetto di “ferie” appare goffo e perfino insensato, qui dove tutto sembra organizzato per festeggiare ogni giorno la vita. L’attuale concetto occidentale di ferie, invece, risulta feroce, quanto la concezione stessa del lavoro, non soltanto perché interferisce in modo profondo con il senso della libertà, ma perché ne trasforma e deforma il significato. Nel periodo di ferie, milioni di persone sono obbligate a divertirsi, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare senza tregua, a sognare di trovare un lavoro o a guarire dai guasti e dalle malattie, causate da un’attività lavorativa coatta e quotidiana. Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita.

La proposta risanatrice di questi invisibili orrori, si è risolta nello Stato della Kirghisia, dove sono state realizzate una serie di riforme che in pochi anni hanno modificato le abitudini e i comportamenti dei suoi cittadini. La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese, chi appartiene all’apparato governativo, esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato”, semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nella sua precedente attività. Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo. Ecco, ora mi è chiaro che chiunque abbia, come i nostri deputati occidentali, uno stipendio minimo di quaranta milioni di lire ( circa 20.000 euro) al mese, non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa. Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa. Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli. I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro. Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore.

Già al terzo anno di questa singolare esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti. Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile. In Kirghisia, la gestione dello Stato, oltre a essere una forma di volontariato, si esprime in due governi, uno si occupa della gestione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture. Ho incontrato il Ministro per il Miglioramento delle Attività lavorative che ha in progetto, nel prossimo quinquennio, di ridurre ulteriormente per tutti il lavoro obbligatorio a due ore al giorno invece delle attuali tre. Il Ministro è convinto che solo una umanità liberata dal lavoro possa essere veramente produttiva. È anche certo che si possa scoprire l’operosità del fare, solo realizzando, nel tempo libero, ciò che si desidera. Ho fatto bene a decidere di rimanere in Kirghisia, e non me ne andrò finché continuerò ad avere la strana sensazione di vivere, qui, all’interno di un sogno comune. Un abbraccio a tutti.

Basta saper immaginare un’isola, perché quest’isola incominci realmente ad esistere

TRATTO DAL LIBRO: Lettere dalla Kirghisia

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domenica 15 maggio 2011

E' Tempo di Esistere e Coesistere

DI EMANUELA BORRELLI

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Certe volte andiamo a cercare il parere dell'esperto, del politico, dello specialista, del giornalista, del grande letterato, del personaggio noto pubblicamente, ma non siamo disposti ad esprimere le nostre idee, il nostro pensiero in quegli spazi reali e virtuali che potrebbero essere utilizzati proprio per generare opportunità di confronto, di dibattito e tanto altro ancora.

Come nel piccolo protagonista del film "La Storia Infinita" non riusciamo a capire che spetta a noi pronunciare quel nome, quella parola! Spetta a ognuno di noi fare il possibile, cominciare ad impegnarci in prima persona e contribuire a generare dei piccoli ma sostanziali cambiamenti cominciando dalla realtà che ci circonda, dal proprio territorio, con le persone che sentiamo attente e sensibili, proprio come noi. E' una considerazione che rivolgo anche a me stessa, perché certe volte non faccio e non dico abbastanza, mentre sento che potrei fare di più anche per incoraggiare tutte quelle persone che avrebbero anche loro tante cose da dire e tante abilità socio-comunicative e operative da condividere. E' tempo che le persone comuni si mettano insieme per costruire il loro futuro, indipendentemente dagli schieramenti politici e da coloro che già da tempo amministrano la cosa pubblica. Occorre potersi incontrare e sapersi organizzare anche in modo trasversale, ovvero condividendo idee, speranze, obiettivi e quant'altro appartiene alla ragione e al buon senso di ognuno.

E' tempo di esistere in armonia con tutti i mezzi che la natura, la tecnologia, la cultura e tutto il resto che esiste, vivono contemporaneamente a noi stessi.

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mercoledì 11 maggio 2011

Intelligenza e Azione Istantanea

DI JIDDU KRISHNAMURTI

intelligenza emotiva1

Esiste l’individualità? O esiste soltanto una massa collettiva di varie forme di condizionamento? Dopo tutto, il cosiddetto individuo è il mondo, la cultura, l’ambiente sociale ed economico. Lui è il mondo e il mondo è lui; e tutta la cattiveria e l’infelicità iniziano quando separa se stesso dal mondo e insegue il proprio particolare talento, la propria ambizione, la propria inclinazione e il proprio piacere. Non sembra che ci rendiamo conto a livello profondo del fatto che noi siamo il mondo, non solo sul piano dell’ovvio, ma anche alla radice del nostro essere.

Sembra che quando sfruttiamo un particolare talento pensiamo di esprimere noi stes­si come individui e, opponendoci a ogni forma di violazione, insistiamo per sfruttarlo. Non è il talento, il piacere o la volontà che ci rendono individui. La volontà, per quanto scarso sia il talento di cui disponiamo, e la spinta del piacere fanno parte della struttura complessiva del mondo. Non solo siamo schiavi della cultura in cui siamo cresciuti; siamo schiavi anche dell’immensa nube di infelicità e di dolore di cui soffre tutta l’umanità, della vastità della sua confusione, della sua violenza, della sua brutalità. Sembra che non facciamo mai attenzione al dolore di cui l’uomo si è caricato. Né che siamo consapevoli della terribile violenza che si è andata accumulando una generazione dopo l’altra. Ci preoccupiamo giustamente di realizzare un cambiamento esterno o una riforma della struttura sociale con la sua ingiustizia, le sue guerre, la sua povertà, ma quel cambiamento cerchiamo di realizzarlo o ricorrendo alla violenza o al lento sistema delle leggi. Nel frattempo permangono povertà, guerre, fame e tutta la cattiveria che esiste tra gli uomini. Sembra che ci dimen­tichiamo completamente di prestare attenzione alle immense nubi che si sono addensate e che l’uomo è andato accumulando per secoli: dolore, violenza, odio e le differenze artificiose di religione e di razza. Queste cose esistono così come esiste la struttura esterna della società, altrettanto reali, altrettanto vitali, altrettanto attive. Noi dimentichiamo questi accu­muli occulti e ci concentriamo sulle riforme esterne. Questa spaccatura è forse la principale causa del nostro declino. Quel che conta è considerare la vita non come un dentro e un fuori, ma come un tutto unico, come un movimento totale e indiviso. Allora l’azione acquista un significato completamente diverso, perché non è più parziale. E’ l’azione frammentata o parziale che fa crescere la nube dell’infelicità. Il bene non è l’opposto del male. Non ha niente a che fare con il male, e non lo si può perseguire. Fiorisce soltanto quando non c’è sofferenza.

Allora, come può l’uomo liberarsi della confusione, della violenza e del dolore? Certamente non facendo ricorso alla volontà con tutti i fattori di determinazione, opposizione e lotta che la caratterizzano. Perce­pire o capire questo è intelligenza. È questa intelligenza che elimina tutte le possibilità di dolore, di violenza e di lotta. È come quando si vede un pericolo: in quel caso l’azione è immediata; non l’azione della volontà, che è il frutto del pensiero. Il pensiero non è intelligenza. L’intelligenza può utilizzare il pensiero, ma quando il pensiero trova il modo di impa­dronirsi di questa intelligenza per i propri scopi, diventa astuto, malefico, distruttivo.

Così, l’intelligenza non è né vostra né mia. Non appartiene né al politico, né all’insegnante, né al saggio. Questa intelligenza non è misurabile. E’ veramente uno stato di nulla.

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giovedì 5 maggio 2011

Referendum: Vota Si a tutti i quesiti!

DI VALERIO PASSERI

Il 12 e 13 giugno si andrà a votare per un referendum che prevede quattro quesiti, due dei quali riguardano la privatizzazione dell’acqua pubblica, uno la costruzione di nuove centrali nucleari ed infine l’abrogazione della legge sul legittimo impedimento.

Bisogna votare Si perché l’acqua è un bene pubblico e non può essere monopolio di nessun ente privato. Bisogna votare Si perché non si costruiscano nuove centrali nucleari: il nucleare è un’energia pericolosa ed instabile; non comporta nessun tipo di beneficio particolare a livello energetico e dati Istat ci dicono che la disponibilità di energia da fonti rinnovabili è in progressivo aumento. Bisogna votare Si per l’abolizione totale della legge sul legittimo impedimento per poter dare un chiaro segnale ed affermare che la legge deve essere uguale per tutti.

Questo referendum ci pone quesiti fondamentali per la nostra vita, quindi a prescindere dal colore politico, andiamo tutti quanti a votare!

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martedì 3 maggio 2011

Il Significato del Lavoro nell'Equilibrio di Vita

DI LUCA

lavoro

Soffermiamo la nostra attenzione non tanto sugli aspetti strutturali o storici del lavoro né sui rischi che può comportare alla salute, ma su come il lavoro influenzi l’uomo e lo sviluppo della sua personalità. Se pensiamo alla persona non possiamo prescindere da non rilevare che, già agli inizi del secolo scorso, si indicavano come parametri di normale funzionalità del soggetto, le capacità di “amare” e di “lavorare”. Come a dire che l’amore e il lavoro sono ugualmente alla base dell'equilibrio psichico.

Dunque il lavoro non risponde solo all'esigenza di guadagno. Certo, il danaro libera dai bisogni materiali, peraltro di relativa facile acquisizione in una società organizzata dove funzionano servizi di assistenza sociale, associazioni di volontariato, sussidi di disoccupazione, ecc. Nella nostra cultura anche il danaro ha soprattutto una valenza simbolica. È un indicatore di successo. L’uomo, una volta acquisiti gli strumenti per sopravvivere fisicamente e socialmente, ha bisogno di relazioni sociali. Ha bisogno di essere accettato dagli altri e di sentirsi parte del gruppo con il quale condivide tempi e spazi della propria vita. Dal rapporto con gli altri emerge l’esigenza di differenziarsi da loro, di definire la propria individualità e di farla rispettare. La contrattazione della salute e sicurezza come del salario, dell’orario, dell’inquadramento, sono indispensabili e possono richiedere la conoscenza di particolari elementi relativi al lavoro, alla divisione del lavoro e all’organizzazione del lavoro; questo a partire dai cambiamenti dei mercati per effetto della nuova divisione internazionale del lavoro detta “globalizzazione”, dalle trasformazioni tecnologiche e informatiche della fabbrica e delle reti produttive. La qualità e quantità del lavoro e la sua valorizzazione dipendono ancora dal progetto e dall’evoluzione della divisione del lavoro, dal disegno organizzativo con i relativi rapporti funzionali, gerarchici e di discrezionalità fra i lavoratori, dall’accresciuta complessità dei prodotti e dei processi e dal livello di conoscenza ed esperienza necessari. Inoltre oggi dobbiamo fare i conti con una percezione “moderna” del lavoro la quale sembra averlo emarginato come valore soggettivo e sociale, in questo modo c’è un diverso rapporto con il lavoro, in relazione al punto di vista, da parte di chi lo svolge e lo vende, di chi lo osserva, di chi lo compra e di chi lo comanda.

Il lavoro umano viene normalmente percepito dai lavoratori stessi e dai rappresentanti sindacali come una struttura poliedrica formata da superfici che riflettono concetti diversi a volte complementari, contradditori o sconnessi; l’insieme di questi concetti ci rimanda ad una struttura complessa che rappresenta appunto un puzzle i cui elementi hanno una loro “vita” propria, ma nell’insieme mostrano un tutto del soggetto e le connessioni delle parti le quali sono variabili, dinamiche e soggettive in relazione al supporto umano che le contiene. L’uomo, nel lavoro, porta tutti i suoi bisogni di persona e puntualmente il lavoro glieli soddisfa. Gli dà una relativa sicurezza economica, lo fa sentire parte della struttura, gli dà visibilità e potere sociali. Gli conferisce uno status socialmente riconosciuto e apprezzato. Infine gli consente di esprimersi in quello che fa. In Italia se una persona non svolge un’attività contrattualmente riconosciuta, non viene considerata parte della “popolazione attiva”. L'uomo lavoratore, si concentra sugli elementi essenziali della condizione di lavoro che sono relativi alla occupazione, nel senso della garanzia del proprio posto di lavoro, al salario professionale e agli orari, e ha, normalmente, un’ attenzione molto ridotta su altri problemi che influenzano gli elementi primari della condizione di lavoro, quali l’organizzazione del lavoro, la formazione professionale, la prestazione individuale e la salute e sicurezza, perché queste sembrano tematiche più alla portata delle rappresentanze sindacali che però determinano pesantemente la condizione complessiva del lavoratore. Questi elementi complementari rappresentano un territorio di lavoro specifico della professionalità sindacale di quei lavoratori che in fabbrica e fuori si assumono la responsabilità di rappresentare le lavoratrici e i lavoratori.

Quanto non appena accennato ci dà il senso del perché nel mondo del lavoro si consumino tanti drammi di umana sofferenza. A maggior ragione il sentimento di perdita è più forte nei soggetti che, in maniera subdola e spesso del tutto imprevista, si trovino esclusi dal lavoro. Dequalificati, vessati, isolati, quando non addirittura derisi e/o attaccati nella loro reputazione professionale e personale. La perdita non è solo del lavoro, ma è tutto il sentimento di sé che viene messo in crisi. All’avvilimento per l’esclusione dal lavoro e dallo spazio sociale in cui si svolge, spesso si associa una forma di auto-isolamento che può divenire un vero e proprio isolamento anche dalla società. Non è infrequente, infatti, che si registrino condizioni di “doppio mobbing”. Non sono casi di mobbing, ma rappresentano un disagio forte dovuto alla precarizzazione del lavoro che impedisce il progetto del proprio futuro, agli obiettivi organizzativi sempre più pretenziosi, alla scarsa valorizzazione delle risorse umane, alla mancanza di una visone etica del lavoro. Un malessere che non ha sbocchi per rendersi visibile e che utilizza gli sportelli del mobbing per rappresentarsi. Un malessere con cui gli operatori della prevenzione dovranno confrontarsi nel tempo a venire. Almeno fino a quando il lavoro non avrà trovato un nuovo assetto.

La costruzione del punto di vista del lavoro è elemento essenziale per creare una identità individuale, collettiva e solidale del soggetto lavoro che nel contesto produttivo crea il valore aggiunto con il quale è possibile realizzare una contrattazione d’insieme delle condizioni di lavoro e in particolare di quelle che riguardano la salute e la sicurezza nel posto di lavoro.

FONTE: http://salutesicurezzalavoro.over-blog.it/article-il-significato-del-lavoro-nell-equilibrio-di-vita-61901414.html

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