mercoledì 29 giugno 2011

Brutti e Cattivi

DI VALERIO PASSERI

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Cos’è che rende un uomo capace di uccidere? Tralasciando i cosiddetti delitti “a sangue caldo”, dovuti a raptus improvvisi, parliamo del caso di guerre o attentati terroristici. Nel primo caso, la risposta forse più immediata è che si uccide per difesa o per paura. Eppure ci sono persone che della guerra fanno la loro professione e, in quel caso, vanno escluse entrambe le ragioni. Lo stesso ragionamento vale anche per i terroristi, di cui forse l’esempio più sentito in questo periodo è al-Qaeda.

Ovviamente i passi che portano il singolo ad armarsi e scegliere il proprio nemico variano da caso a caso, qui parliamo del momento in cui si "preme il grilletto". Nessun uomo nasce predisposto ad uccidere un proprio simile, ne tanto meno si può spiegare il fenomeno ricorrendo al termine “pazzia”. I terroristi non sono pazzi, i mercenari non sono pazzi, è un modo troppo semplicistico ed estremamente sbagliato di vedere questi fenomeni. Infatti la reazione di un uomo che sa di aver ucciso un altro uomo è di profondo rimorso e aberrazione. Di sicuro una persona pervasa da questi sentimenti è quantomeno poco propensa ad uccidere ancora. Il processo fondamentale di cui stiamo parlando e che spiega quanto detto è un altro, parliamo della cosiddetta “disumanizzazione del nemico”. La persona o le persone che si vanno a colpire non sono esseri umani ma degli oggetti, dei simboli sui quali riversare tutta la propria rabbia. Questo accade quando si viene a contatto con una cultura fortemente dicotomica che permette di marcare nitidamente la linea di confine tra amici e nemici. Il nemico non è Mario o Giovanni, ma la fonte di tutti i mali che è necessario eliminare per sopravvivere. Per i membri di al-Qaeda, ad esempio, l’America e l’occidente non sono dei territori dove vivono altre persone, ma una presenza malvagia che incombe ed è pronta a massacrare l’essere della civiltà medio-orientale. Viceversa vale per molti di noi occidentali verso l’Islam. Tutto ciò, per portare un esempio, spiega i recenti festeggiamenti per l’uccisione di Osama Bin Laden, non si pensa di aver ucciso un uomo ma di aver sconfitto il male assoluto, della vittoria del bene sulle forze maligne. Questo metodo è fondamentale e fortemente utilizzato anche nei regimi totalitari, infatti per mantenere il controllo c’è sempre bisogno di un capro espiatorio, un nemico pericolosissimo e molto vicino contro il quale bisogna rimanere assolutamente uniti. Senza andare indietro nel tempo, abbiamo quotidianamente esempi di questo genere: partiti che accusano altri di essere portavoce di teorie e sistemi terrificanti che attentano alla libertà di tutti, colpe di qualsiasi problema costantemente attribuite all’avversario, moniti sul chi votare per continuare ad essere un paese democratico e così via. Come già detto, questo metodo funziona benissimo poiché pensare in maniera dicotomica bene/male, amico/nemico, semplifica di molto i ragionamenti, chiude il dialogo con l’altro, consolida la vicinanza agli alleati.

In qualsiasi contesto, oltre che sbagliato, è profondamente pericoloso stimolare gli altri e noi stessi a pensare secondo categorie troppo nette. Chi è diverso da noi, va compreso, bisogna cercare di capire le sue ragioni, bisogna rivestire di umanità chi consideriamo ostile, anche se poi dovesse risultare incompatibile con il nostro modo di pensare. Quando tutto questo sarà un concetto compreso e scontato per tutti, guerre ed attentati terroristici saranno probabilmente solo un lontano ricordo.

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sabato 25 giugno 2011

Chi Siamo e Dove Andiamo

DI GIANNI TIRELLI

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Il mio gatto se lo domanda almeno una volta il giorno, e così la rondine che ha fatto il suo nido sotto la grondaia della mia casa. La vite canadese, avvinghiata al muro del mio splendido terrazzo, se lo domanda spesso; il gelsomino calabrese, una volta, ho sentito che lo chiedeva ad una ape. L’ape gli rispose che era troppo occupata, per perdersi in congetture di questo tipo. Quella notte sul mare, il vento lo domandò alla luna e la luna sorrise. La trota lo chiese al fiume, e il fiume borbottò. Il filo d’erba pose la stessa domanda a Dio, e Dio cadde dalle nuvole. A volte, quando tutto tace, e quiete e oscurità avvolgono tutte le cose, e nessun pensiero contamina il silenzio della tua anima, a volte, se tendi l’orecchio al cielo, puoi ascoltare l’universo e il suo interrogativo: ”Chi siamo, dove andiamo?”

Noi, siamo la domanda che ci poniamo e la risposta che non abbiamo: per questo siamo.

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mercoledì 22 giugno 2011

L'Equo e Solidale a Roma

DI MARCO CANESTRARI

Ecco Cosa Vedo in occasione dell’assemblea generale annuale dei soci è stato ospitato dalla libreria 360° Sud a Roma, sede che ci ospita da più di un anno. Il 360° Sud, oltre ad essere una libreria, è una sala da tè molto accogliente ed anche un punto vendita con molti prodotti del commercio equo e solidale. Il commercio equo solidale sta prendendo sempre più piede ed è oggi una valida alternativa al commercio convenzionale: il suo scopo è promuovere giustizia sociale ed economica e sviluppo sostenibile. Insomma un commercio etico, la cui produzione si basa sul rispetto dell’ambiente e dei popoli indigeni, con coltivazioni senza lavoro minorile, senza sfruttamento della manodopera e senza interventi delle multinazionali della produzione e della distribuzione.

Gli incontri della nostra associazione sono aperti a tutti, se volete partecipare alle nostre attività o semplicemente venire a trovarci potete contattarci tramite la nostra pagina facebook o scrivendo una mail a info@eccocosavedo.com

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domenica 12 giugno 2011

La Sicurezza Esterna e la Sicurezza Interiore

DI WAYNE W. DYER

finestra

Un tempo, a scuola, hai imparato come si fa un tema. Ti hanno insegnato che occorre una buona introduzione, un corpo bene articolato, e una conclusione. È probabile che purtroppo tu abbia dato questa stessa struttura anche alla tua vita, vedendo la vita come una specie di tema. L'introduzione è stata la tua infanzia, allorché ti preparavi a diventare una persona; il corpo è la tua vita da adulto, organizzata e pianificata in vista della conclusione, che sarebbe l'andata in pensione e una fine felice.

Tutto questo programmare t'impedisce di vivere nel presente. Secondo un tale programma, per vivere occorre la garanzia che tutto vada sempre bene. Ora, la sicurezza, che è poi il fine di tutto il programma, va bene per i cadaveri. Sicurezza significa sapere ciò che sta per succedere. Sicurezza significa niente emozioni, niente rischi, niente sfide. Sicurezza significa niente crescita, e niente crescita vuol dire morte. Finché sei su questa terra, e il sistema resta qual è, sicurezza non ne avrai mai. E anche se non fosse un mito, sarebbe pur sempre un modo orribile di vivere. La certezza elimina le emozioni... e la crescita. Il termine "sicurezza", nel senso in cui viene qui adoperato, designa certe garanzie esterne o esteriori, possessi quali il denaro, una casa e un'automobile, baluardi quali un lavoro o una posizione sociale di riguardo. Ma vi è un altro tipo di sicurezza che vale la pena di perseguire, ed è la sicurezza interiore che consista nella fiducia in se stessi, nel sapere che, qualsiasi cosa accada, si saprà farvi fronte. Questa è l'unica vera sicurezza durevole. Le cose potranno anche andar male, una depressione economica potrà anche prosciugarti tutti i tuoi averi, potrai anche perdere la casa, ma tu, tu ti sentirai come una roccia, intatto nel senso del tuo proprio valore. Tale è la fede in te stesso e nella tua forza interiore, che negli oggetti o negli altri potrai ravvisare dei semplici accessori, piacevoli ma non indispensabili. Un'altra definizione della sicurezza è, dunque, la coscienza di saper far fronte a tutto, compresa la mancanza della sicurezza esterna.

Non cadere nel tranello della sicurezza esterna, perché ti toglie ogni capacità di vivere, crescere e realizzarti. Osserva coloro che ne sono privi e che non hanno mappe su cui sia già stato scritto tutto. Forse è gente che non si è lasciata allettare dall'esca; può almeno tentare nuove vie ed evitare il tranello di dover sempre tenersi sul sicuro.

"Un giorno me ne andrò
Per essere libero
E lasciare agli sterili
La loro sicura sterilità.
Senza lasciare recapito partirò
E attraverserò un arido deserto Per
scaricarvi il mondo. Poi andrò qua e
là, leggero Come un Atlante
disoccupato."
James Kavanaugh

TRATTO DA: Le vostre zone erronee

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martedì 7 giugno 2011

Forza Italia(ni)

DI VALERIO PASSERI

refe

Il 12 e il 13 giugno si va a votare per i quattro referendum. Ormai è cosa nota a molti italiani, grazie all’attivismo in rete ma anche sul territorio tramite volantini, manifesti e passaparola. Si vedono macchine con affissi cartelli che fanno riferimento ai 4 “si” da apporre su i quesiti del referendum, bandiere pro acqua pubblica e contro il nucleare affisse sui balconi dei palazzi... insomma sembra quasi che l’Italia abbia vinto i mondiali! Certamente non vi è possibilità di paragone in termini di importanza tra le due cose, eppure mai mi era capitato di percepire sul territorio italiano un simile entusiasmo e coesione, se non appunto per le partite della nostra nazionale di calcio. Questa volta invece si parla di questioni che riguardano la vita di tutti e che richiedono un impegno – quantomeno in termini di passaparola – ad ogni cittadino per diffondere i contenuti del referendum che per troppo tempo le TV hanno “dimenticato” di comunicare.

Il dato interessante è proprio questo attivismo di massa; messi davanti a qualcosa di concreto da poter fare molti si sono rimboccati le maniche ed hanno cominciato a mettersi a lavoro. Abituati a partecipare alla cosa pubblica in maniera passiva o tutt’al più a muovere proteste, che troppo spesso ricordano battaglie contro mulini a vento, contro palazzi e istituzioni chiusi e sordi ad ogni grido, molti di noi hanno scoperto - o riscoperto - la passione e l’entusiasmo che Hegel definiva come “la condizione perché dall'uomo nasca qualcosa che abbia valore”. Ovviamente siamo ancora lontani da scenari di cambiamento reale, ma questa effervescenza fa presagire un progressivo miglioramento. Sperando che il quorum venga più che ampiamente raggiunto e superato, dando una forte scossa positiva alla democrazia italiana, il passo successivo sarebbe riuscire ad appurare che da questa esperienza di quasi-democrazia diretta, sia nata una nuova consapevolezza da parte di molti cittadini sull’importanza della partecipazione e della propositività. Che si sia compreso che rimanere con le mani in mano non solo sia inutile, ma anche dannoso, che se si vuole un cambiamento bisogna cominciare noi stessi a fare, a iniziare, anziché fermarsi a protestare o proporre cose che nessuno farà al posto nostro, che si possa prendere quest’avventura da esempio sul come agire. Inoltre che questa sia stata un’occasione per comprendere quanto potenzialmente la rete possa aiutare la democrazia; come già detto infatti, tutti quelli che si sono mobilitati, quasi tutta l’informazione che abbiamo avuto a disposizione per sapere l’esistenza del referendum, nonché dei suoi contenuti, la dobbiamo in maniera quasi esclusiva al web.

Insomma il miglior augurio che si possa fare, ed è la cosa che noi tutti dobbiamo impegnarci a realizzare, è che tutta questa forza propositiva terminato il referendum non vada a disperdersi di nuovo, bensì si canalizzi verso nuove iniziative che portino vantaggi a tutti, senza colorarsi di fazioni politiche, che servono soltanto a dividere e disperdere energie preziose.

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mercoledì 1 giugno 2011

Siamo tutti Indignados

DI VALERIO PASSERI

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Comincia a soffiare anche sulle coste europee un leggera brezza di cambiamento. Basta guardarsi un po’ intorno, in questi ultimi mesi, per vedere che qualcosa si sta muovendo. Il tutto è certamente più chiaro se si consuma informazione attraverso il web. Tv e giornali non parlano o sottostimano deliberatamente certi eventi cercando di far passare l’immagine di situazioni marginali, lontane e di scarso interesse. Si è partiti dalle rivoluzioni – termine più appropriato per descrivere il fenomeno, ma temuto e bandito da tv e giornali – scoppiate nel vicino nord africa e medio-oriente.

Non so dire se sia la stessa aria proveniente da questa “nuova primavera dei popoli” ad essere giunta fin da noi, sta di fatto che, in forma totalmente pacifica, sta avvenendo qualcosa nella vicina Spagna. Migliaia di persone, giovani soprattutto, denominati simbolicamente “los indignados”, a partire da una prima manifestazione del 15 Maggio a Madrid, hanno formato diversi sit-in continui di protesta in tutte le maggiori città spagnole. Le proteste di questi cittadini, sono le stesse che, se non ci si volesse sbilanciare dicendo che potrebbero essere promosse da un qualsiasi occidentale, sicuramente sono comuni a quelle che potremmo muovere noi verso il nostro paese. E’ notizia recente che, secondo fonti ISTAT in Italia ci sono circa 2.100.000 giovani che non lavorano ne studiano. Per non parlare di precari, di persone che non arrivano a fine mese, che non possono permettersi una casa... e si potrebbe continuare con questo sconfortante elenco per centinaia di righe. I problemi sono dappertutto gli stessi perché il sistema che li genera è lo stesso: democrazie non dirette, ma nemmeno più rappresentative completamente sublimate al sistema economico della concorrenza spietata e del “mors tua vita mea”. Un sistema che tende all’autodistruzione perché lentamente sta uccidendo gli stessi componenti che lo costituiscono e lo muovono.

E’ chiaro che il movimento spagnolo non può far altro che espandersi, forse non immediatamente, potrebbe essere tra un mese come tra 10 anni, diciamo che il termine utile è dato dalla sensibilità dei nostri nasi: quando il puzzo di questo sistema che si sta lentamente ed inesorabilmente putrefacendo sotto i nostri occhi, risulterà a tutti insopportabile, sarà allora giunto il momento. Siamo spettatori, ma dobbiamo essere soprattutto autori, di un cambio di paradigma da una società incentrata sul profitto ad una che possa essere realmente a misura d’uomo. Gli strumenti ci sono, bisogna però cominciare a conoscerli ed imparare ad usarli correttamente. A cominciare dal web, che ha già permesso l’espansione di tutti i movimenti sovracitati, ed ha un potenziale che spesso solo gli “addetti ai lavori” conoscono fino in fondo. Esso promuove oltre alla possibilità di aggregazione e confronto, l’ accesso a centinaia di fonti di informazioni libera e diretta, dalle quali si possono scegliere nuovi “luoghi” referenziali per l’accesso ai fatti che possono essere in ogni momento confrontati, discussi e verificati, si arriva perfino alla possibilità di nuovi scenari di vera democrazia diretta come il voto elettronico.

Ma soprattutto per poter cambiare il paradigma sociale, bisogna cominciare a cambiare gli schemi di vita, perlopiù utilitaristici, con i quali siamo abituati a relazionarci con la realtà odierna. Bisogna partire dalla consapevolezza e dalla costruttività. La storia cambia inevitabilmente, è nostra responsabilità, di tutti, il come e in cosa la nostra realtà si trasformerà.

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